Fentanyl, l’euforia chimica del Dragone

Fentanyl, l’euforia chimica del Dragone

Le dipendenze vantano una storia che permette di comprendere importanza e ruolo delle sostanze cui si è accompagnata spesso la delirante compagnia alcoolica, come accaduto con la fata verde dell’assenzio, reso affascinante, ma non meno assuefacente, dai bohemien parigini; gli allucinogeni hanno spalancato le porte dell’onirico nelle cerimonie d’iniziazione, hanno permesso di varcare i confini che separavano realtà aspre da eteree e rassicuranti insostanzialità. Tuttavia, in passato, pur a fronte di consumi abituali (o quasi) di sostanze stupefacenti, non si rinviene in merito pubblicistica relativa a querelle di ordine pubblico o privato, né si ha notizia di emarginazioni sociali, rivolte invece alla più immediata dipendenza alcoolica. Anche senza soffermarsi sulla setta islamica degli Assassini, la cui denominazione sembra derivare da al-Hashīshiyyūnossia ovvero coloro che sono dediti al consumo di hashish, che se ne parli o meno, le sostanze psicotrope ci sono sempre state tanto che, alle soglie del XIX secolo, oltre alla scoperta della morfina prodotta dalla Merck dal 1827, si potevano annoverare almeno 70.000 medicinali con formula segreta contenenti sostanze psicoattive, seguite, nel 1897, dalla più potente diacetil morfina della Bayer, più comunemente conosciuta come eroina, dal tedesco heroischeroico, per come faceva sentire (niente di meno) chi l’assumeva. Negli anni ’20 arrivano flappers, Grande Gatsby e proibizionismo alcoolico che si estende alle droghe con l’intento di preservare la salute pubblica. La beat generation porta lo psichedelico LSD, l’acido lisergico di Syd Barrett, gli antidepressivi per truppe traumatizzate da conflitti di inedita violenza, fino ai surrogati più moderni, crack ed ecstasy, passando per le dipendenze di star televisive alla Dottor House ed al suo idrocodone. Ma non finisce qui; il fentanyl porta ad una terza guerra dell’oppio, in una nemesi storica che stavolta vede la Cina esportare oppioidi e precursori verso un Occidente sempre più debole e permeabile.

La principale causa di decessi negli USA

Approvato dalla FDA come analgesico e anestetico, il fentanyl negli USA è diventato la principale causa di decessi per overdose: 68.000 nel 2020, 82.000 nel 2021, non meno di 80.000 nel 2022, con sullo sfondo la condanna da 572 milioni di dollari della casa farmaceutica Johnson&Johnson da parte del Tribunale di Cleveland, per aver innescato un’epidemia da dipendenza da oppioidi.

Il fentanyl, destinato ai pazienti oncologici, è un oppiaceo sintetico, un preparato che, capace di produrre dipendenza, ha un effetto 100 volte più potente della morfina e 50 dell’eroina. Parafrasando Paracelso, per cui è la quantità che fa il veleno, la letalità causata da appena due mg di China Girl non giustifica la spasmodica ricerca di euforia.

Rispetto ad un’epidemia da eroina, la differenza è che con il fentanyl si entra in contatto legalmente grazie alle prescrizioni per le terapie del dolore.. Alla scadenza delle ricette almeno il 6% dei pazienti non riesce a privarsene e si rivolge al mercato nero: il borsino degli stupefacenti cambia, per cui cresce la richiesta di fentanyl e crolla quella della cocaina, con cali del prezzo fino al 32%. Il fentanyl è entrato da protagonista nel confronto daziario sino americano. La fascia più colpita è quella degli adolescenti; nel 2022, secondo la SAMHSA 61,2 milioni di giovani di età superiore a 12 anni hanno fatto uso di droghe e altri 9,2 milioni di oppiacei; al costo umano si somma quello economico, con perdite, nel 2020, pari a quasi 1,5 trilioni di dollari. L’emergenza fentanyl ha costretto il Dipartimento per la Sicurezza Interna a chiedere al Pentagono di aggiungere 1.500 soldati al contingente di 2.400 unità di Esercito e Guardia Nazionale già schierati al confine sud-occidentale per permettere alla Customs and Border Protection di dedicarsi all’immigrazione clandestina.

Le incognite sono diverse; la prima riguarda i dati ufficiali, che non distinguono le morti causate da fentanyl preparato in laboratori clandestini da quelle determinate dal prodotto confezionato dalle case farmaceutiche; la seconda interessa una diffusione giustificabile con la facilità yankee con cui vengono prescritti oppioidi per la terapia del dolore.

Il belga Paul Janssen, l’inventore del fentanyl, certo non avrebbe mai immaginato quanto sarebbe poi accaduto, di fatto una ripetizione peggiorata e scorretta di quanto verificatosi con la sintesi della codeina per le affezioni respiratorie, benché il fatto che la Janssen Pharmaceutical sia stata, nel 1985, la prima azienda occidentale a stabilire un impianto nella Repubblica popolare cinese aiuta a comprendere qualche dettaglio in più.

Asia Connection

Il quadro, se possibile, è anche peggiore, se si considera che il fentanyl, per abbattere i costi, viene spesso tagliato con la xilazina, un anestetico veterinario che o porta al decesso per overdose o a effetti collaterali di tale gravità da averle fatto guadagnare il nomignolo di droga zombie.

Complice la pandemia, fentanyl e soprattutto xilazina si diffondono a Philadelphia nel quartiere portoricano di Kensington: il mercato nero è invaso dal fentanyl, grazie anche ai cartelli messicani.

È un’Asia Connection con l’aiuto dei cartelli messicani, multinazionali agganciate a Cina e India, specializzati in droghe sintetiche; secondo la DEA il cartello di Sinaloa si è affermato come un importante produttore e trafficante di fentanyl dal Messico agli Stati Uniti. Le regole del gioco cambiano parzialmente tra il 2017 ed il 2019, quando la Cina, che rimane il principale produttore di precursori necessari alla produzione di droghe sintetiche, introduce norme più stringenti ed i cartelli intravedono l’opportunità di accedere come intermediari. È proprio l’India a diventare la meta di cittadini cinesi desiderosi di eludere l’inasprimento delle pene in patria, come Kevin Dai, che respinge qualsiasi addebito, ed il suo Richest Group, specializzato in import-export di prodotti chimici e additivi alimentari cinesi; la principale filiale, la Shanghai Ruizheng, presente sul sito cinese Alibaba, esporta ovunque e verso clienti di rango, tra cui Samsung, LG e Canon, ma tratta anche precursori per fentanyl.

Le misure adottate da Pechino sono inadeguate: lo Stato, quando effettua controlli a sorpresa dà preavvisi di 72 ore. Negli USA arriva dunque anche fentanyl prodotto in Messico, ma con precursori chimici cinesi. Un altro aspetto che lega i cartelli messicani alla Cina è connesso al riciclaggio del denaro, come evidenziato da Follow the money, il titolo del saggio, che non può non ricordare la lezione di Giovanni Falcone, presentato al Congresso da Celina B. Realuyo, sul modello di business sul fentanyl del Partito comunista cinese.

Il ruolo della politica

Prima della visita di Blinken in Cina, le autorità statunitensi fermano alle Isole Fiji, al centro dei reciproci interessi sino americani, due cittadini cinesi, accusati di traffici legati all’approvvigionamento di fentanyl, un fermo tramutato in incriminazione al ritorno in patria di Blinken. Pechino reagisce con veemenza, additando i problemi interni al sistema americano. Tuttavia, nel 2019 Xi Jinping ha fatto inserire tutte le varie forme di fentanyl e oppioidi sintetici tra le droghe vietate, tanto che, poco prima della pandemia, vengono condannate 9 persone nell’Hebei, l’ultima puntata di una collaborazione azzoppata dal mancato allentamento sui dazi voluti da Trump, allentamento non arrivato nemmeno con Biden, e con un aggravamento determinato dalla visita di Nancy Pelosi a Taiwan. Il bando cinese ha alterato la forma dell’invio delle sostanze negli USA, per cui da prodotto finito si è giunti a sostanze sfuse e quasi tutte lecite. La frammentazione del sistema che non fa più circolare prodotti completi ma materie prime ha regalato un’arma a Pechino, e reso il traffico più flessibile.

Il fentanyl si è trasformato in una leva che rende la cooperazione subordinata alla geopolitica. Taiwan, Indo Pacifico, know how tecnologico, tutto concorre ad inserire gli oppioidi in un possibile negoziato che muta la diffusa crisi americana in un’opportunità per Pechino, che sa perfettamente quanto si stia giocando Biden in previsione delle elezioni del 2024, specie nel trumpiano Midwest. Il mahjong geopolitico ha tuttavia cambiato la disposizione delle tessere anche a Pechino, dopo la defenestrazione di Qin Gang, una possibile vulnerabilità del Timoniere, che potrebbe decidere di ristabilire più fruttuosi canali diplomatici, al netto dell’abbattimento di sospetti palloni spia. Di fatto la disponibilità di entrambi è fondamentale per gli interessi economici di Pechino, chiamata a fronteggiare una possibile reprise pandemica ed una disoccupazione giovanile crescente; la Cina non può dunque apparire come il wolf warrior che rifiuta il dialogo, specie dopo le contrastanti narrazioni riguardanti l’origine pandemica.

Negli USA il dato geopolitico emergente individua un malessere che interessa una società non più così disposta a farsi carico di obblighi e costi percepiti come intollerabili. Anche le istituzioni risentono dell’epidemia da oppioidi; nelle Forze Armate circola il fentanyl; tra il 2020 ed il 2021 a Fort Bragg, da dove partono le missioni contro il narco traffico, sono morti almeno 21 militari per overdose.

E l’Italia?

L’Italia, che riceve le droghe sintetiche prevalentemente da Belgio e Olanda, nel 2021 ha occupato il quarto posto al mondo per consumo di fentanyl dietro a USA, Germania e Spagna, secondo i dati forniti dall’Organo internazionale per il controllo degli stupefacenti delle NU. Da non dimenticare i punti di contatto tra narcotraffico e la rete sostenuta dalle cosiddette banche clandestine cinesi che evidenziano l’opacità del sistema.

Anche il MO non è immune dal problema; la Giordania è minacciata dallo spaccio di captagon siro-libanese, in un contesto in cui lo Stato Islamico, e non solo, puntava sullo spaccio per finanziarsi. Contrabbando di sigarette, droga, armi, diamanti, riciclaggio di denaro, anche Hezbollah si autofinanzia grazie ad una rete che si estende fino all’America del Sud, con legami certificati dalla DEA con i cartelli messicani Los Zetas e Sinaloa, che hanno acquisito le capacità di scavare tunnel al confine con gli USA alla stessa stregua di quelli aperti tra Libano e Israele, e le Farc colombiane. Da rimarcare, per Hezbollah, le agevolazioni offerte dal fatto che nella Three Borders Area, tra Argentina, Brasile e Paraguay, negli ultimi anni sono arrivati migliaia di immigrati libanesi; fondamentale l’alleanza sviluppata a suo tempo tra Hugo Chavez e Mahmoud Ahmadinejad, rivoluzionari ed al contempo esportatori di petrolio.

Quante narrazioni: sociale, ideologica, religiosa; rimaniamo fedeli a quella realista, meno poetica ma più aderente al contesto oggettivo.

Se l’invasione russa ha suscitato un inedito interesse per le questioni geopolitiche, la valutazione totalizzante del contesto politico-militare ha accantonato altre dinamiche non meno importanti. La guerra alla droga tra USA e Cina non è combattuta con le armi ma provoca un’emorragia interna difficilmente tamponabile; malgrado nel maggio 2019 la Cina si sia apparentemente mossa in direzione di una collaborazione internazionale, il commercio con il Messico è rimasto attivo, a fronte di ricavi immensi, dato che il Fentanyl è una sostanza sintetica che ha solo bisogno di laboratori allestibili clandestinamente ovunque.

Dalla prospettiva cinese emerge un trend per cui il governo tendendo a negare qualsiasi anomalia punta però a giungere ad un regolamento, la cui applicazione rischia di essere contrastata dagli interessi geopolitici e di partito che prevalgono su qualsiasi considerazione. Se la Cina mostra una predisposizione alle politiche proibizioniste, la situazione geopolitica rende comunque di difficile immaginazione una collaborazione con Washington; probabilmente solo un’epidemia interna da oppioidi renderebbe possibile una svolta del genere, benché l’esempio di Tien an Men lascerebbe presumere epiloghi violentemente diversi; quel che va notato è che i cartelli hanno accentuato tendenze sempre più spiccate verso il Pacifico, un fenomeno da ricondurre alla ricerca di nuovi mercati.

Gino Lanzara

Gino Lanzara, romano del '65, Ufficiale MM, laureato in management e comunicazione d'impresa e scienze diplomatiche e strategiche, è specializzato in analisi geopolitica e sicurezza, ed ha pubblicato un saggio sulla guerra economica. Specializzato sull'area MENA, collabora con testate online sempre in tema geopolitico.

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