
Il futuro della politica europea in Svizzera
I recenti dibattiti sulla rinegoziazione e il rinnovo degli accordi bilaterali tra la Confederazione Elvetica e l’Unione Europea sono il risultato di un’annosa questione. Tuttavia, come già affermato anche da Darius Farman e Julie Cantalou, rispettivamente vicepresidente ed ex vicepresidente del think tank Foraus, “le alternative a un accordo sono limitate e valutare i difetti e i pregi di un certo scenario senza paragonarlo agli altri è un esercizio futile”.
Il Consiglio federale sta dando l’impressione di non sapere quello che vuole o perlomeno non crede che la Commissione europea faccia sul serio.
Il futuro della politica europea in Svizzera
Secondo Farman e Cantalou, Berna ha davanti a sé sei possibili scenari: 1) La strada solitaria in salita, cioè la fine degli accordi bilaterali e il ritorno all’accordo di libero scambio del 1972 (una scelta estrema e con una cooperazione limitata).
2) L’aggiornamento dell’accordo di libero scambio sulla falsariga degli accordi conclusi tra l’Ue e alcuni paesi come la Gran Bretagna, l’Ucraina e il Canada (addio al Trattato di Schengen e alla libera circolazione delle persone!).

3) L’attuale via bilaterale in fase terminale. Questa opzione è stata deliberatamente scelta dalla Svizzera ed è abbastanza inconcludente. L’Unione rifiuta l’adozione di nuovi accordi fino a quando la Confederazione non proporrà dei miglioramenti soddisfacenti; per esempio, l’aumento dei suoi contributi per la coesione. La conseguenza di questo vicolo cieco, è lo smantellamento, pezzo dopo pezzo, della via bilaterale. L’interruzione dell’accesso della Svizzera ai programmi di ricerca europei, dei programmi di mobilità studentesca, e l’aumento degli ostacoli tecnico-burocratici per l’industria elvetica. Inoltre, dei nuovi accordi servirebbero a sbloccare l’attuale impasse nei settori della sanità e dell’elettricità.
4) La continuazione della via bilaterale, ma con delle riforme sostanziali. Tuttavia, nessuna grande riforma della via bilaterale si verifica da vent’anni. L’aggiornamento della via bilaterale potrebbe giovare ai cittadini svizzeri in alcuni campi come, per esempio, la ricerca, il digitale, l’ambiente e le telecomunicazioni. Delle modifiche all’accordo istituzionale sono auspicabili; per esempio, una redistribuzione del carico di lavoro presso la Corte dell’Associazione Europea di Libero Scambio. Invece che della Corte di Giustizia dell’Ue con magari un giudice svizzero a disposizione.
5) L’adesione allo Spazio Economico Europeo. Ritornare all’opzione del 1992 (rigettata dal 50.3% dei cittadini svizzeri in un referendum) è ancora una possibilità. Rispetto all’accordo istituzionale, questa opzione mette fine all’approccio settoriale della via bilaterale, poiché il diritto europeo deve essere integralmente ripreso; 6) L’adesione all’Ue, un’opzione estrema e improbabile sia che si tratti di un’adesione piena con l’adozione dell’euro o senza euro sull’esempio di Svezia e Danimarca.
Chissà come il già segretario di Stato e diplomatico Franz Blankart, scomparso all’inizio di quest’anno, avrebbe commentato il mulinello politico in cui la Confederazione sta annaspando per potere trovare una soluzione al dilemma in cui si trova attualmente.
La Svizzera ha bisogno di più Europa o meno Europa?
L’ex docente dell’Institut des Hautes Etudes Internationales (Hei), nonché grande tessitore degli accordi bilaterali tra la Confederazione e l’Unione Europea del 2002, avrebbe forse optato per il quarto scenario–il rafforzamento e la continuazione della via bilaterale.