Il Libano: luci e ombre nella storia recente

Il Libano: luci e ombre nella storia recente

Il Mediterraneo rimane un mare ribollente, popolato da genti che, pur nel fluire dei secoli, continuano a tenere vivo ed alto il livello di una conflittualità che appare senza fine. Dei cedri che ornano i vessilli libanesi ne sono rimasti pochi, ed anche i versi del poeta libanese contemporaneo per eccellenza, il maronita Khalil Gibran, testimoniano l’amore per una terra che vorrebbe paradisiaca. Ammesso che vi abbia mai albergato, il Paradiso di certo non si trova più nella Valle della Beqaa.

Il Libano odierno, attraversato da una crisi finanziaria che trova precedenti solo con l’abisso senza fondo dello Zimbabwe di Mugabe, è diventato espressione geografica ferita dalla colpevole incoscienza di uno Stato che dimentica tonnellate di nitrato d’ammonio in un silo, e che rimane una contraddizione politica, una gemma posta in un castone pressato tra Siria, Israele, la revanche russa ed il cuneo sciita iraniano. Il Libano è uno dei più interessanti e complessi casi di studio geopolitici mediterranei: cartina di tornasole di tutti i conflitti regionali che, inevitabilmente, si riversano sulle sponde orientali del Mediterraneo, riveste un carattere strategico per molti attori, innanzi tutto per la Francia a cui è avvinto da legami storici indissolubili, e poi anche per l’Italia, uno dei suoi principali fornitori europei, e Nazione a capo di UNIFIL. Dal 1943, in Libano, le cariche istituzionali (Presidente della Repubblica, Presidente del Parlamento, Primo Ministro)sono state affidate alle comunità cristiano maronita, sciita e sunnita, le maggiori in termini numerici e di rilevanza.

Il parlamento è stato parcellizzato secondo criteri settari che tutelano le diverse confessioni, ma che al contempo preservano il potere politico attraverso una forma spinta di clientelismo: se è vero che la memoria della rilevanza finanziaria libanese è andata ormai perduta, la  spartizione del potere secondo linee settarie ha salvaguardato solo interessi di parte, impedendo qualsiasi via d’uscita risolutiva istituzionale e finanziaria. Un prestito da parte di qualunque istituzione internazionale richiede interventi istituzionali che impongono di ristrutturare sia il debito sia l’impianto di un potere che ha consentito la legittimazione di una fazione divenuta esso stesso stato nello Stato: la sciita Hezbollah, permanentemente avversa ad Israele e vincolata a Teheran, che rimane radicata in un ambito regionale sconvolto da conflitti interni ( Yemen, Siria, Libano, Iraq ) una pericolosa opzione strategica che rende comprensibili le dichiarazioni di Hassan Nasrallah che già promette Beirut ad una poco caritatevole Pechino.

Se l’iconografia ufficiale designa Hezbollah quale primo oppositore dell’IS, non si può certo dimenticare che le sue non sempre lecite attività economiche giungono fino in Africa e Sud America, con un rigido controllo sui porti libanesi dove sta giungendo, in regime di sanzioni, petrolio iraniano. Ma la regione non è certo immobile, e sullo sfondo si rimane sia in attesa degli esiti delle negoziazioni JCPOA tra l’amministrazione conservatrice iraniana del neo Presidente Raisi e Washington, sia delle mosse saudite, intese a ristabilire i rapporti con la Siria, pur con l’alea delle etero-dirette iniziative qatarine. Hezbollah, volendo edificare un nuovo Libano a sua immagine, entrato in competizione con le FA, si sta opponendo a qualsiasi intervento finanziario occidentale, grazie all’appoggio di un management politico attento unicamente al mantenimento del potere; rimanendo in ambito economico, è opportuno rammentare l’associazione al Qard al Hasan ( prestito benevolo) braccio finanziario di Hezbollah, che fornisce prestiti senza interessi contro garanzie collaterali, come oro o garanzie di terzi, con un volume di prestiti in costante aumento (da 76,5 milioni di dollari nel 2007 a 480 milioni nel 2019. La portata totale delle attività dell’Associazione dal 1983 fino alla fine del 2019 ammontava a 3,5 miliardi di USD).

Il Dipartimento del Tesoro USA ha sanzionato AQAH già da luglio 2007, una volta accertato come la sua attività abbia concesso ad Hezbollah “l’accesso al sistema bancario internazionale“, grazie anche agli uffici di cambio utilizzati come punti di transito per i proventi dalle sue imprese, non da ultimo il  traffico di droga, nel settore bancario libanese, dove i fondi vengono riciclati grazie ad Hawala, un canale di rimessa parallelo grazie a cui viene assicurato un servizio sia alla BAC ( Hezbollah’s Business Affairs Component) sia alle banche commerciali che prediligono le istituzioni intermediarie nella gestione della consegna di contanti. La Banca Mondiale ha quantificato nel 9% del PIL le spese determinate da spartizioni settarie, corruzione, dall’influenza esercitata da Hezbollah. Visto che il default del 2020 è stata provocato da una bolla speculativa originata dalla Banca Centrale, sembra difficile che la situazione possa essere risolta alla luce del fondato scetticismo circa le capacità di restituzione dei prestiti concessi ed il quadro generale che porta a ritenere sempre più possibile un’incontrollabile trasformazione venezuelana della situazione.

La Banque du Liban fino a questo momento ha finanziato il deficit vendendo alle banche nazionali debito pubblico ed Eurobonds in cambio della valuta estera depositata sulla quale sono stati riconosciuti rendimenti molto elevati, in modo da recuperare risorse ed assicurare il regime di cambio fisso con il dollaro; tuttavia, a partire dall’inizio della crisi nel 2019, le banche hanno limitato l’accesso alla valuta pregiata provocando sia la consueta corsa al ritiro della liquidità, sia la successiva sospensione del prelievo sui depositi. Come accaduto per le Primavere Arabe, anche la Rivoluzione dei cedri è servita a poco:innescata da 350 kg di C4 che, piazzato nel febbraio 2005 sotto il manto stradale, ha dilaniato il Primo Ministro Rafiq Hariri secondo lo stesso copione adottato nel 1992 per il giudice Falcone, ha sì condotto prima ad un repentino allontanamento siriano, ma ora conduce al preoccupante ritorno di una pericolosa empatia Damascena. La travagliata Presidenza della Repubblica del maronita Aoun, dal 2016, ha portato ad un governo incoerente, con il conflitto siriano che più di una volta ha lambito il Libano con la sua spirale devastante.

l’International Crisis Group ha lanciato allarmi ben precisi, per i quali le dinamiche di oggi mostrano una strana somiglianza con quelle che hanno preceduto la guerra civile, e secondo i quali il Libano, vincolato alle importazioni, ha esaurito la valuta estera necessaria a liquidare i consumi, e non è in grado di onorare il debito pubblico, un Paese privo di servizi primari, con una disoccupazione oscillante tra il 30 e il 40 % ed il tasso di povertà al 50%. Con un’economia in balia degli eventi, in carenza di manodopera qualificata ormai sulla strada dell’emigrazione, le imprese saranno obbligate alla chiusura, la valuta non sarà ancorata, l’iperinflazione brucerà redditi e ricchezza innescando un conflitto peggiore dei precedenti. Il PIL libanese tra il 2018 ed il 2020 si è depauperato passando da 55 miliardi di USD a quasi 33 con un calo di circa il 40%: a ciò va aggiunta la fluttuazione del tasso di cambio della divisa libanese rispetto allo USD che ha toccato le 17.000 lire. Questo ha portato ad una lievitazione dell’inflazione pari all’85%, causata dall’inerzia politica che ha determinato una situazione esacerbata sia dal Covid, contenuto a stento e con una campagna vaccinale gestita in larga parte, al pari della distribuzione dei generi alimentari, dai gruppi politici, sia dall’esplosione che, nell’agosto 2020, ha devastato il porto di Beirut.

Considerato che l’iniziativa francese di rilancio economico promossa dal presidente Macron è di fatto fallita, J.Y. Le Drian ha informato i politici libanesi che, alla luce della situazione di impasse che coinvolge Gebran Bassi, capo del Movimento Patriottico Libero e genero del presidente Michel Aoun che ambisce sostituire, e Saad al-Hariri, primo ministro designato che tuttavia non gode dell’appoggio di Ryadh che favorisce Nawaf Salam, sarebbero rimasti soli in una competizione che vede attori politici che, annaspando per non annegare nell’irrilevanza, rendono impossibile la formazione del governo; non va infine dimenticato Nabih Berri, dal 1990 presidente del parlamento, che si oppone alle trame di Aoun e Bassil di formare un governo a loro favorevole. L’interesse strategico francese si contrappone a quello di Ankara, che intendendo riproporsi sul teatro energetico cipriota, ha sia promesso a tutti i libanesi di origine turcomanna la nazionalità turca, sia incentivato l’invio di armi nel Libano settentrionale nel Wadi Khaled ed a Tripoli, città caratterizzata dalla presenza di associazioni sostenute dall’Agenzia turca per la Cooperazione e lo Sviluppo.

In questo beauty contest demagogico, tentando di fare breccia nell’opinione pubblica, i partiti hanno continuato a basarsi sia sul sempre valido principio identitario, sia sugli interessi ora però colpiti dal crollo del cambio valutario e dall’imminente revoca dei sussidi. Nel mentre, Hezbollah continua a gestire il contrabbando di beni diretti in Siria secondo una dinamica che, ad ampio respiro, non vedrà l’FPM da un lato, ed il FM di Hariri dall’altro. Vanno dunque valutati 3 aspetti: il primo è che la politica si stia preparando ad una dura stagione socio economica; il secondo che il sistema partitico sia in cerca di un compromesso popolare tra lealtà e miseria verso una società depauperata del suo capitale umano e pronta ad azioni eclatanti; il terzo che lo Stato abbia completamente perduto la sua ragion d’essere. Tutte le previsioni, comunque, vanno compendiate dalla volontà politica, laddove ancora esistente, che, nel 2022, consenta le consultazioni elettorali legislative e presidenziali, che si possa determinare la misura del gradimento popolare dell’attuale maggioranza viste le sanzioni comminate in accordo al Global Magnitsky Act, e che il Libano non si trasformi in un proxy da sacrificare nello scontro con l’Iran, puntando invece sull’istituzione cardine che trascende il settarismo: le Forze Armate, la vera spina dorsale libanese.

L’Esercito, anche se ormai in competizione serrata con Hezbollah, rimane l’unica garanzia di stabilità sia pur in un contesto che ha indotto il Generale Joseph Aoun, ricevuto all’Eliseo perché interlocutore più affidabile dei rappresentanti di partito, a prendere una posizione divergente da quella politica. È sulle FA che l’azione diplomatica e finanziaria occidentale dovrà indirizzare i suoi sforzi: mantenere l’operatività dell’Esercito libanese è l’unica soluzione rapida e sensata che possa impedire il disfacimento di una regione e di uno Stato che l’Occidente non può e non deve far collassare facendone dono alla teocrazia sciita. Conclusioni. Ipotizziamo al momento 4 scenari: una continuazione della crisi che produrrà il passaggio agli altri 3, ovvero un improbabile miglioramento dovuto ad un governo tecnico; la definitiva conquista del potere da parte di Hezbollah; la più che probabile guerra civile. Passiamo all’Italia, Da un Paese dove il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, mentre ancora non si è diradata la foschia generata dall’esplosione di Beirut, confonde il Libano con la Libia, non sembra possibile trarre auspici positivi, tanto più che, ora, il main stream è invaso sia dai peana dedicati ai funambolismi di perenni adolescenti abbienti e viziati che scagliano demagogicamente via le bottigliette che assicurano loro un’esistenza scandalosamente dorata, sia dall’epistemologia della genuflessione nichilista.

Che il Libano sia importante per l’Italia, sia in termini economici che di attività di intelligence è affermazione banale, ma va scritto: l’arte della politica estera rimane appannaggio di pochi, e forse in Italia non ce ne si è ancora avveduti. Il Libano è un coup de théâtre che ha permesso ad un’estensione territoriale grande quanto l’Abruzzo, di galleggiare in un oceano tempestoso, dove anche la Francia ha difficoltà nell’imbastire una politica, e dove forse l’unica strada percorribile è quella della guerra, come nel Sahel.

Un percorso concettualmente poco accettabile a sud delle Alpi se è vero, come è vero, che il solo ricorso al supporto logistico delle FA per le vaccinazioni anti pandemia, ha scatenato oscuri timori ancestrali. I poli del potere sono mutati, e rimanere di nuovo ai margini non potrà che condannare l’Italia all’irrilevanza, visto che il Libano è prossimo a divenire il portale per il caos, e dove sulla crisi siriana il ministro degli Esteri ha invitato nell’ottobre scorso a fare “un – indefinito – piccolissimo passettino in avanti” verso Assad. Rimanere nell’apparente sicuro recinto retorico del chiacchiericcio sulla pace, alla lunga, non preserverà nessuno; Khalil Gibran ha scritto: “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta.” All’alba, se possibile, però, sarebbe il caso di arrivarci incolumi e visibili.


Gino Lanzara

Gino Lanzara, romano del '65, Ufficiale MM, laureato in management e comunicazione d'impresa e scienze diplomatiche e strategiche, è specializzato in analisi geopolitica e sicurezza, ed ha pubblicato un saggio sulla guerra economica. Specializzato sull'area MENA, collabora con testate online sempre in tema geopolitico.

Related Posts

Le due Coree

Le due Coree

L’atomica degli Ayatollah

L’atomica degli Ayatollah

L’idea di Europa: da Ventotene a Bruxelles (via Ginevra)

L’idea di Europa: da Ventotene a Bruxelles (via Ginevra)

La tempesta nel bicchiere d’acqua di Erdogan

La tempesta nel bicchiere d’acqua di Erdogan

Articoli recenti