Parsifal: dal medioevo ad una concezione moderna
Parsifal, in scena al Grand Théâtre di Ginevra, ha ottenuto un bel successo. Una storia dalle origini medievali rivista in una concezione moderna.
Ultima opera di Richard Wagner, e la più lunga di tutte, Parsifal fu dato per la prima volta al Festspielhaus di Beyreuth nel 1882. L’opera, secondo la volontà del compositore, doveva essere eseguita esclusivamente in quel contesto. Nel 1914, però, viene sciolta l’esclusività concessa al teatro e in tutta Europa si moltiplicano la rappresentazioni. Al teatro della Scala di Milano fù il celebre Tullio Serafin a dirigere l’opera con testo italiano come andava di moda all’epoca.
Il libretto fù scritto da Wagner lui stesso. Grande lettore, l’idea gli venne dal romanzo di Wolfram von Escenbach Parzival datato dei primi anni del tredicesimo secolo. Dettaglio interessante per i ginevrini, la Fondazione Bodmer – bellissimo museo dedicato alla scrittura sulla collina di Cologny con una straordinaria vista sul lago – possiede un esemplare del romanzo del 1477, un incunabolo (nome che indica i primi libri stampati) realizzato da uno dei più famosi tipografi dell’epoca, Johannes Mentelin.
Parsifal, un dramma sacro
Definito da Wagner come dramma sacro, Parsifal rappresenta la figura della purezza e della conoscenza in un mondo decadente e corrotto. E colui che salverà i cavalieri del Graal e il loro re Amfortas. Il suo grande valore viene rivelato dopo una serie di prove dove l’eroe avrà la forza di resistere al fascino di Kundry, alla quale tutti gli altri hanno ceduto. Ruolo femminile di grande rilievo, Kundry è considerata come una delle figure più coinvolgenti delle opere di Wagner. Nella regia di Michael Thalheimer, il personnaggio interpretato dal mezzosoprano Tanja Ariane Baumgartner, ha une posizione centrale. In effetti, tutto sembra girare intorno a lei, sia come presenza scenica che tramite i costumi, e ciò ne evidenzia l’importanza. La scena del confronto con Parsifal nella seconda parte mette particolarmente in rilievo il ruolo di Kundry, dove indossa un abito rosso che contrasta fortemente con lo sfondo grigio della scenografia illuminato da una luce bianca e fredda. Il ruolo possiede una potenza drammatica molto forte, sia dal punto di vista scenico che musicale, che abbinato alle capacità vocali ed espressive di Baumgartner produce un momento di grande emozione.
L’importanza dei gesti
Nell’insieme la visione astratta della regia di Thalheimer con un importante lavoro sulla prospettiva crea uno spettacolo sobrio ma espressivo dove ogni gesto porta con se un suo significato. Si percepisce una vera attenzione per il connubio musica e teatro, naturalmente essenziale nel lavoro operistico ma non sempre facile da ottenere. Abbiamo apprezzato l’ingegnoso lavoro delle diagonali e l’utilizzo dello spazio scenico che porta a percepire in modo efficace la tensione drammatica tra i diversi protagonisti. Il contatto con il pubblico è stato dosato in modo equilibrato e ha permesso di immergerlo nello spettacolo. Lo sguardo verso la sala, in particolare di Daniel Johansson nel ruolo di Parsifal, dava la sensazione di uno spazio molto più ampio, come se Parsifal guardasse oltre ai muri del Grand Théâtre, come se stesse contemplando la natura che lo circonda, completamente assente dalla scenografia malgrado le numerose didascalie presente nel libretto al riguardo (giardini magici, foreste, fiori…). Le doti sceniche e vocali del baritono si sono illustrate magistralmente nel ruolo di Parsifal che interpretava per la prima volta.
La semplicità della scenografia e la gestuale contenuta lascia lo spazio necessario alla storia, alla musica, alle voci di svolgersi senza essere ostacolate e offre ai protagonisti la possibilità, ma anche la responsabilità, di essere veramente presenti musicalemente e scenicamente. Il cast dei cantanti è omogeneo e il livello vocale è molto alto sia nei primi ruoli (Kundry, Parsifal, Amofortas) che nei ruoli secondari, in particolare le bravissime cantanti della scena della ragazze fiori (Juliette Lozano, Ena Pongrac, Tineke van Ingelgem, Louise Foor, Valeriia Savinskaia e Ramya Roy), che hanno portato uno slancio de vitalità e leggerezza allo spettacolo. Le scelte estetiche del regista offrono una coerenza e una bella coesione al dramma. Tuttavia, la voluta semplicità porta in alcuni momenti un aspetto lugubre e smorto, che in alcuni momenti può stancare.
Un’orchestra incredibile
La direzione d’orchestra di Jonathan Nott, di cui avevamo già descritto le capacità espressive in un precedente articolo, porta l’Orchestre de la Suisse Romande ha ampliare la “palette” dei colori e delle “nuances” della scrittura wagneriana. La bacchetta di Nott, non appesantisce mai la musica anche nei momenti dove l’orchestra è portata fino ai suoi estremi nel fortissimo e in un flusso ininterrotto riesce a fare emergere, sopra la massa sonora, le bellissime linea melodiche dei strumenti a legno.
Come lo ha ammesso Jonathan Nott, nella bella intervista fatta da Christopher Park per il programma di sala, “la lunghezza di Parsifal è lì per accentuare la profondità e la significanza di quel momento inevitabile in cui ci si commuove”. Dopo più di quattro ore di spettacolo, le parole del direttore risuonano in modo chiaro e distinto.
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