Turandot, l’ultima opera di Puccini al Grand Théâtre de Genève

Turandot, l’ultima opera di Puccini al Grand Théâtre de Genève

Il Grand Théâtre de Genève ha deciso di concludere la stagione 2021-22 con Turandot, l’ultima opera composta da Giacomo Puccini. Bisogna però ricordare, che il compositore morì il 29 novembre 1924 a Bruxelles, lasciando l’opera incompiuta e su richiesta della casa editrice Ricordi, il compositore Franco Alfano (1875-1654), ebbe il difficile compito di scrivere il finale dell’opera, sulla base degli schizzi lasciati da Puccini. Il suo lavoro non ricevette un riscontro molto positivo e alla première data alla Scala di Milano il 26 aprile 1926, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini si rifiutò di andare oltre il sacrificio di Liù, ultima parte composta da Giacomo Puccini. Nel 2001, Luciano Berio ha scritto un nuovo finale e per la rappresentazione di Ginevra il direttore d’orchestra Antonino Fogliani ha scelto questa versione, considerandola più affine alla scrittura di Puccini.

Origine del libretto

Il libretto fu probabilmente suggerito a Puccini da Renato Simoni, giornalista al Corriere della Sera, che sarà, insieme a Giuseppe Adami, il librettista di Turandot. La storia dell’opera è ripresa dalla tragicommedia, Turandotte, del veneziano Carlo Gozzi (1720-1806). Durante il romanticismo, lo scrittore Friederich Shiller rielaborò il testo in uno stile più affine alla sua epoca e fu questa versione, poi tradotta da Andrea Maffei, che Puccini prese come riferimento per la sua Turandot. La stesura del libretto e della musica provocò delle intense crisi al povero Puccini e più volte ebbe la tentazione di abbandonare il progetto. Ma, forse grazie ai numerosi ripensamenti e ai suoi dubbi, Puccini riuscì a creare un’opera del tutto unica e trovò delle soluzioni drammatiche, musicali e vocali di una grande modernità e bellezza.

La storia

Il nome di Turandot viene pronunciato nei primi istanti dell’opera quando il mandarino entra in scena per spiegare la terribile legge della principessa:

Popolo di Pekino!

La legge è questa: Turandot, la Pura,

sposa sarà di chi, di sangue regio

spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà.

Ma chi affronta il cimento e vinto resta

porga alla scure la superba testa.

Turandot, figlia dell’imperatore Altoum, non vuole concedersi a nessun uomo e per non doversi sposare impone ai suoi pretendenti tre enigmi che nessuno fino all’arrivo di Calaf riuscirà a risolvere. Al primo atto, Calaf, figlio del re deposto Timur, si trova nella folla che attende la decapitazione dell’ultimo principe sconfitto. Ma malgrado la crudeltà dell’atto, Calaf si innamora all’istante quando scorge la principessa Turandot. Decide, dunque, di tentare anche lui il gioco degli enigmi per conquistarla. Alla notizia del nuovo pretendente, i tre ministri di Turandot, Ping, Pang, Pong, stanchi del sangue sparso sotto gli ordini di Turandot, cercano di dissuadere invano Calaf. Anche le preghiere del vecchio padre, ritrovato in mezzo alla folla insieme alla dolce schiava Liù, da tempo innamorata di Calaf, non riusciranno a scoraggiarlo e Calaf suonerà il gong fatale.

Al secondo atto, iniziano i preparativi per il rito di passaggio che permetterà a Calaf di ottenere la mano di Turandot. I tre ministri divagano sulla storia della Cina e immaginano una vita diversa. Quando appare a metà del secondo atto, la principessa espone le ragioni della sua crudeltà e del suo odio: una sua antenata, Lu-u-ling, fu violentata e uccisa dalla mano di uno straniero e per vendicarne la morte, Turandot, impone la decapitazione di tutti coloro che la desiderano e che non riescono a risolvere i tre enigmi da lei imposti. Calaf, a grande meraviglia di tutti, scioglie tutti gli enigmi e secondo il patto ora ha diritto alla mano di Turandot, ma quest’ultima non vuole cedere a quest’uomo e chiede pietà al padre che rifiuta la richiesta della figlia. Calaf, in un atto di bontà, offre alla principessa una via d’uscita: se riuscirà a conoscere il suo nome entro l’alba, anche lui morirà.

L’atto tre si svolge durante la notte, vengono catturati il vecchio Timur e Liù che erano stati visti in compagni di Calaf durante l’ultima decapitazione. Liù viene torturata per ottenere il nome di Calaf ma decisa a salvare il suo amore, prende un pugnale e si uccide. Qui finisce l’opera di Puccini. Nel finale, composto una prima volta da Alfano e poi da Berio, Calaf bacia con ardore Turandot che si innamora di lui.

I protagonisti

La morte di Liù è uno dei punti più emozionati dell’opera e con linee vocali ariose e acuti pianissimi quasi surreali, la soprano Francesca Dotto riesce a creare un personaggio molto toccante. La musica di Puccini offre momenti di grande poesia e eleganza messi in rilievo dagli episodi più drammatici e violenti dell’opera. C’è anche una certa ironia nella musica, come lo può dimostrare la scrittura dei tre ministri, Ping, Pang e Pong. Ping, ruolo centrale del trio, è stato interpretato magistralmente sia scenicamente che vocalmente dal baritono Simone Del Savio. Il bellissimo timbro, la stabilità della voce e la pronuncia impeccabile ci hanno conquistati. Speriamo ritrovarlo in altre produzioni molto presto. In compagnia dei due tenori Sam Furness e Julien Henric, le scene dei tre ministri hanno illuminato la scena e in regola generale il cast è sembrato all’altezza dei ruoli estremamente difficili dell’opera.

Scenografia e regia

Purtroppo, in questa produzione i protagonisti vocali, il coro e l’orchestra sono stati messi in secondo piano, in una messa in scena che privilegia soprattutto gli effetti visivi. Il connubio testo-musica-scena, così importante nella concezione drammatico-musicale di Puccini, è sembrato in questo caso assai squilibrato. Gli effetti di luce della TeamLab nella sala del Grand Théâtre de Genève, affascina e offre senz’altro nuove possibilità per future produzioni. Il loro lavoro fà entrare in un universo nuovo nell’ambito operistico e possiede anche una certa poesia. Abbiamo apprezzato in particolare, la scena dove appaiono sullo sfondo della struttura metallica, le onde del mare, un’immagine che fa pensare alla celebre xilografia del giapponese Hokusai, La grande onda di Kanagawa.

Tuttavia, ci sono dei momenti in cui l’eccessiva utilizzazione di questi effetti distrae l’occhio e l’orecchio e lo spettatore non ha lo spazio necessario per apprezzare la parte musicale e l’opera nel suo insieme. Ci si può chiedere se, in complemento ai mezzi astratti delle luci create dal Teamlab, non sia mancato una maggiore esplorazione delle possibilità teatrali. Si prova una certa nostalgia della consistenza materiale di una scena tradizionale che avrebbe centrato maggiormente l’attenzione del pubblico sulla musica e i personaggi.

Il regista Daniel Kramer

Il punto che ha dato più da riflettere è la lettura proposta dal regista Daniel Kramer. In effetti, come lo abbiamo visto nel libretto, i pretendenti vengono decapitati per non essere riusciti a sciogliere gli enigmi imposti da Turandot e la testa tagliata è appesa su dei pali. La lettura di Daniel Kramer, nel tentativo probabilmente di proporre una versione originale, sostituisce la decapitazione della testa a quella del pene, rappresentato da un mazzo di fiori tra le gambe dei corteggiatori. Questa deviazione al libretto originale ambisce a entrare nel dibattito molto attuale sulla lotta femminista. Ma questo spostamento dalla testa verso le parti intime ci sembra una scorciatoia troppo facile e un’appropriazione senza grande interesse. L’insistenza dei simboli fallici, nella rappresentazione ginevrina, allontana dagli aspetti centrali dell’opera e non contribuisce in modo positivo al dibattito sulle rivendicazioni femministe e al raggiungimento dell’uguaglianza di genere.

Con la grossa mantide religiosa che nel primo atto scende dalla sua tela per divorare le parti intime dell’ultimo pretendente, siamo più vicini all’estetica del cinema trash che allo stile musicale, anche se violento e drammatico, di Turandot. Inoltre, la metafora con la principessa non ci sembra convincente: il suo personaggio è vendicativo, certo, ma non è una divoratrice di uomini. Al contrario, la sua crudeltà nasce dalla paura e dal trauma del passato. Turandot cerca di sfuggire agli uomini e al desiderio carnale, e la sua crudeltà viene anche dalla sua vulnerabilità che gli permetterà, nel finale, di riconoscere l’amore di Calaf.

Per concludere, ci piacerebbe riflettere su alcuni punti legati alla trasmissione del repertorio operistico. La maggior parte delle opere rappresentate oggi nei teatri d’opera hanno già una storia molto importante. La tentazione di rinnovare le letture e cercare qualcosa che non è mai stato fatto prima, naturalmente, è grande. È molto importante continuare a trasmettere questo patrimonio culturale al pubblico di oggi e diverse domande devono essere poste, anche se le risposte non sono mai definitive. Come trasmettere le opere scritte e create in un contesto culturale che non esiste più? Come continuare a dare vita alla musica e ai personaggi?  Il punto di partenza è riconoscere cosa più mette in valore il materiale artistico. Per questo è importante oggi ridimensionare i ruoli che permettono di produrre uno spettacolo vivente e pensare in che modo realizzare l’equilibro fondamentale tra musica, testo e scena.

Lo storico delle idee e teorico della letteratura Tzvetan Todorov, si definiva lui stesso “un passeur”, una persona che ha il dono di saper trasmettere agli altri le opere artistiche di chi le ha create. Forse, si potrebbe ripensare la regia d’opera sotto quest’angolazione. E la domande rimane: come creare un passaggio, un ponte tra la volontà del compositore, dei suoi librettisti con il nostro tempo e il pubblico?

Maria Irene Fantini

Appassionata di arte, teatro e musica, studia pianoforte con Luis Ascot e canto lirico con Isabel Balmori-Martin al conservatorio di Ginevra. Successivamente ottiene un Master of Arts in vocal performance alla Haute Ecole de Musique de Lausanne, nella classe di Frédéric Gindraux. Come mezzosoprano e contralto ha eseguito lo Stabat Mater di Pergolesi al festival « Les transeuropéennes de Rouen » e presso le « Nuits baroques » de Touquet, il Gloria di Vivaldi e il Magnificat di J.S. Bach al « Festival Bach » di Lutry. Insieme al clavicembalista Paolo Corsi e il suo ensemble “Le Harmoniche Sfere”, ha ideato e presentato in concerto il programma La Serenissima con musiche vocali e strumentali del barocco veneziano, concerto registrato dalla dalla RTS-Espace 2. Desiderosa di approfondire le sue conoscenze umanistiche, prosegue gli studi e consegue il Master di Musicologia dell’Università di Ginevra con un lavoro di ricerca su poesia e vocalità in Ottorino Respighi.

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