Dalla Puglia a Ginevra: la storia della chef Francesca Fucci

Dalla Puglia a Ginevra: la storia della chef Francesca Fucci

Francesca, ci parli di lei. Cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera di Chef?

Io sono nata e cresciuta in un piccolo paese di mare, Margherita di Savoia, in Puglia, un luogo dove, ancor oggi, non è facile trovare lavoro e dove non c’è posto per i sogni, perché ciò che conta sono gli aspetti concreti della vita.

Da ragazza avrei tanto voluto iscrivermi ad una scuola artistica, ma mio padre non me lo ha permesso. A 13 anni mi è stata imposta la scuola alberghiera, che si trovava non lontano da casa, spingendomi a specializzarmi nella cucina, perché in quel modo, a suo dire, avrei trovato sicuramente lavoro.

Ed è cosi che ho iniziato a studiare e a lavorare in parallelo, fin da subito, nei fine settimana e nei periodi estivi.

In realtà, la passione per la cucina mi è stata trasmessa da uno dei miei professori, Giuseppe D’Ambrosio, che purtroppo ci ha lasciati prematuramente. A lui devo tutto. Perché è lui che mi ha spinto a “volare e a sognare”, ad intravedere e idealizzare la libertà che un giorno questo mestiere mi avrebbe dato, attraverso i suoi racconti sui viaggi e sulle esperienze professionali fatte in giro per il mondo.

Che cosa l’ha portata a Ginevra?

Sono arrivata a Ginevra circa 5 anni fa, quasi per caso. Avevo saputo che Alessio Corda, Primo Chef Executive del Ritz-Carlton Hôtel de la Paix, era alla ricerca di nuovi collaboratori e siccome all’epoca conoscevo sua sorella, con cui avevo lavorato insieme, ho avuto il suo contatto, e così è partito il tutto.

E prima di arrivare a Ginevra?

A 18 anni, terminata la scuola alberghiera, ho iniziato a lavorare al Moma di Roma, dove sono arrivata – come ama ricordare il proprietario Gastone Pierini – “con la valigia di cartone dalla Puglia” e ci sono rimasta per quasi 11 anni. Dopo il Moma, ho sentito il bisogno di evolvermi e, sempre nella capitale, ho avuto la possibilità di collaborare con chef stellati del calibro di Giuseppe Sesti (Ristorante Mirabelle, 1 Stella Michelin) e Heinz Beck (La Pergola, 3 Stelle Michelin) dove ho conosciuto mio marito, anche lui chef.

Insieme abbiamo deciso di fare un’esperienza in Francia, per approfondire le tecniche della cucina francese, e ho lavorato per qualche tempo da Joël Robuchon, al Metropole di Monte-Carlo.

Il 1° agosto del 2017 ho iniziato a lavorare a Ginevra. Inizialmente avrei dovuto iniziare al Fiskebar, insieme allo chef che all’epoca era stato chiamato per occuparsi dell’apertura del locale. Poi, però, Alessio Corda ha preferito che restassi con lui a fare il suo sous-chef.

Fino a che non è arrivato il mio momento. Quando mi hanno proposto di prendere in mano le redini della cucina del Fiskebar, all’inizio, non nascondo di aver avuto qualche timore, non sapendo nulla di cucina nordica. Poi, però, mi sono convinta, e con coraggio, consapevole del fatto che nessuno dei miei predecessori era di origine nordica, mi sono messa a studiare duro, ho letto tutti i libri possibili di cucina nordica, e ho iniziato a viaggiare per il Nord Europa alla ricerca di nuovi sapori, nuove fonti di ispirazione.

So che appena può, nel suo tempo libero, ama andare per boschi alla scoperta di erbe, fiori, piccoli frutti e bacche selvatiche, ingredienti poveri e semplici da utilizzare sapientemente come decorazione o supporto nei suoi piatti. Anche lei, dunque, condivide la filosofia, che ha avuto inizio nei paesi scandinavi, della ricerca gastronomica sul “foraging”, ovvero la pratica di “andar per erbe”?

Sì, è qualcosa che mi appartiene nel profondo. Fin da bambina con mio padre andavo per mare o per la campagna alla ricerca di ricci, funghi, foglie o piante selvatiche. E continuo a farlo tutt’oggi. E alla fine devo ammettere che sono molto contenta di aver seguito questa ispirazione nordica nella cucina, perché, dopo tutto, ritrovo qualcosa di casa, della mia infanzia.

So che ha una grande passione per la ceramica e che da tempo collabora con Lisa Novel, fondatrice del laboratorio Ici Ceramique Studio a Ginevra, per creare i suoi piatti di portata. Un aspetto essenziale della moderna gastronomia è l’estetica del piatto, che mette in relazione sfere sensoriali diverse: ciò che è bello a vedersi può sembrare più buono nel momento in cui lo si gusta. Quanto è importante per lei l’estetica in cucina? 

Dopo il gusto, viene sicuramente l’estetica. Sono sempre stata attratta da tutto ciò che è bello. Come le ho detto, da ragazza avrei voluto fare la scuola d’arte. E questo mestiere alla fine mi permette di combinare le mie due grandi passioni: la cucina e l’arte. E quando viaggio, se non è per cucina, mi piace andare in giro per musei, per mostre, per quartieri con nuovi stili, nuove idee, nuovi design.

Progetti per il futuro? Punta alla Stella?

Il mio progetto per il momento è quello di rimanere al Fiskebar.

Per quanto riguarda la stella, se dovesse arrivare, ne sarò sicuramente molto felice, ma per me quello che conta più di tutto è che i miei clienti quando vengono nel mio ristorante mangino bene e ne escano contenti. Così come è altrettanto importante che le persone che collaborano con me si sentano a casa, come in una grande famiglia.

Cristina Ferrari

Torinese, classe ’74, un diploma in lingue e una laurea in economia e commercio. Mamma di due bimbi, Jacopo e Ginevra, dal 2006 vive a Ginevra dove ha lavorato per qualche anno come assistente per il Progetto Medicis-Promed, un progetto in ambito di ricerca medica e oncologica finanziato dall’Unione Europea e coordinato dal CERN. Amante della vita, positiva, tenace, viaggiatrice, curiosa, con la passione infinita per il buon cibo e il buon vino, nonché ottima cuoca, adora entrare in contatto con realtà protagoniste dell’eccellenza enogastronomica italiana e non solo, sperimentando nuovi piatti e scovando nuovi ristoranti e produttori insoliti durante i suoi viaggi.

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