La guerra infinita

La guerra infinita

Dopo l’innesco causato dagli eventi di Gerusalemme, i missili su Israele hanno perfezionato la deflagrazione di una crisi di notevole intensità. Il cessate il fuoco susseguito suggerisce un’analisi proiettata verso un futuro molto prossimo, tenuto conto che la crisi si è sviluppata simultaneamente su più fronti, e che l’interruzione dei combattimenti non elude i problemi di fondo. Se è vero che la potenza di fuoco di Hamas è stata significativa, è altrettanto vero che la rappresaglia israeliana è stata devastante.

In Israele e negli USA il conflitto ha ridestato chi sperava nel contenimento di un conflitto latente, quasi da archiviare, una convinzione acuita soprattutto dagli Accordi di Abramo; dal suo canto, Hamas ha puntato ad affermare la propria leadership privandone il Presidente Abbas e Fatah, per la quale gli eventi di Gerusalemme sono stati funzionali all’annullamento delle elezioni legislative. Elemento rilevante di novità sono state le forme di insorgenza interna da parte degli arabi residenti. La posizione americana nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, che ha rallentato dichiarazioni e dibattito su Gaza, ha concesso a Cina e Russia il vantaggio di poter disporre di un elemento di contrasto in merito alle obiezioni inerenti alla Siria o allo Xinjiang.

Il conflitto tra Israele e Palestina continua

Non deve inoltre stupire né il fatto che gli Accordi di Abramo, per i Paesi arabi, siano divenuti un’assicurazione sul crollo del prezzo del petrolio legato ad un possibile riavvicinamento americano all’Iran, né che la compagine dem USA sia frammentata in diverse correnti che, da un lato chiedono la sospensione delle vendite di armi ad Israele, e dall’altro appoggiano la linea Blinken. Linea che sostenendo l’AP in luogo di Hamas, potrebbe far intendere a quest’ultimo che il cessate il fuoco non è di fatto una vittoria.

In questo contesto va valorizzato il peso politico dell’Egitto, in grado di negare la vittoria politica ad Hamas poiché espressione della Fratellanza Musulmana, percepita come una minaccia che mette in relazione Qatar e Turchia. Va rammentato che Il Cairo e Gerusalemme hanno interessi comuni riguardanti sia lo sfruttamento idrocarburico nel Mediterraneo orientale, sia il contrasto al jihadismo nella penisola del Sinai ed il contenimento di Hamas nella Striscia di Gaza. In questo contesto risulta inquadrabile la notizia, rilanciata da organi di stampa turchi, per cui Ankara ha rivolto informalmente al governo palestinese la proposta di un accordo volto a ridefinire la delimitazione marittima tra Anatolia e Striscia di Gaza.

A cosa potrebbe portare il cessate il fuoco, oltre che ad un ritorno allo statu quo ante? Quale dei soggetti politici interessati potrebbe negoziare con due contendenti volti a trarre vantaggio dall’interruzione temporanea delle ostilità? Israele ha voluto che rimanesse indelebile il ricordo del prezzo pagato per permettere ad Hamas di conseguire l’obiettivo di aprire contemporaneamente più fronti, un intento minato dalla reazione israeliana che tuttavia, in termini di leadership, ha dovuto prendere atto della necessità di coordinare le aspettative dell’opinione pubblica, giungendo ad un sistema efficace per illustrare i risultati ottenuti sulla base delle caratteristiche belliche moderne, evitando di ingenerare la sensazione della vittoria mancata.

L’effetto sorpresa palestinese

Una lesson learned che dovrà essere tenuta presente al momento dello scontro con Hezbollah in Libano. L’effetto sorpresa palestinese è stato quindi compensato dalle azioni contro tutto ciò che Hamas percepisce come una risorsa, ovvero grattacieli, case di lusso nel Quartiere di Rimal, istituzioni finanziarie.

Ad oggi, alla luce della necessità di un compromesso, si evidenzia il debole intento di andare oltre semplici dichiarazioni di principio. In un momento in cui gli USA sembrano intenzionati a riabilitare i contatti con l’Iran, spinto da un lato da una politica espansionistica e dall’altro frenato da una crisi economica che non potrà non influire sullo svolgimento delle prossime elezioni presidenziali, Israele, grazie agli Accordi di Abramo, tacitamente approvati dai Sauditi, ha recuperato posizioni geopolitiche anti Teheran, posizioni di fatto lasciate vacanti dalla mancata azione politica palestinese.

In sintesi, sono presenti tutti gli elementi di una tempesta perfetta sia per l’esplosione di una Terza Intifada che investirebbe tutto il MO riverberandosi anche nel Mediterraneo Orientale, come già testimoniato dal lancio di missili da Siria e Libano, sia per giungere alla deflagrazione di una nuova guerra. Hamas, nello sfidare un antagonista impossibile da sconfiggere, dovrà ora vincere la scommessa più difficile, quella della ricostruzione, condizionata dall’embargo imposto da Israele, e dagli USA, che intendono far affluire i fondi necessari alla più moderata AP di Abbas.

Il lato israeliano

Dal lato israeliano, l’ipotesi di un cambio nell’esecutivo apre a nuove prospettive che non sembrano essere suffragate da una linea politica e decisionale coerente ed ininterrotta. I soggetti politici regionali interessati a vario titolo continuano comunque a non mancare; la Turchia persevera con una politica aggressiva, contraria agli Accordi di Abramo e che peraltro mal si concilia con un’economia in sofferenza: non a caso Ankara non è stata valutata quale valido protagonista ai negoziati di pace. L’Iran sciita, accusato di collaborazione con la sunnita al Qaeda, non ha mancato di sostenere logistica ed operatività sia di Hamas, sia di Hezbollah sia di Jihad Islamica, mentre sta continuando a subire, in mare, azioni volte a sabotare attività commerciali e di sorveglianza, ed in patria, a manomettere l’efficienza degli impianti deputati alla finalizzazione del programma nucleare, secondo una logica conflittuale di bassa intensità che ha visto soccombere personalità di spicco[1]. Guardian of the Walls è stata più guerra che operazione; da parte di Hamas, gli eventi hanno mostrato mezzi migliorati, una più efficiente capacità di comando e coordinamento con la Jihad islamica, ma anche una sottovalutazione della portata della violenta risposta israeliana.

Ancora una volta la leadership politico militare ebraica ha dato priorità alle operazioni di deterrenza basate sul potere aereo, privilegiato a quello terrestre il cui prezzo, pur a fronte di una certa vittoria, avrebbe avuto un prezzo troppo elevato. La difficoltà incontrata nell’affrontare le migliaia di missili palestinesi ha assunto un connotato strategico, sottolineando il differente impatto determinato dalla visibilità dei risultati ottenuti dai contendenti. Gli aspetti securitari si fondano su deterrenza e su sospensione delle attività belliche, ambedue capaci di garantire miglioramenti economici grazie anche alla supervisione imparziale dell’afflusso e dell’utilizzo degli aiuti internazionali.

Una tregua difficile

Limitare l’analisi ad Israele e Hamas non avrebbe fornito un quadro esauriente, pur tenendo conto che la situazione è tale da rendere difficile una comprensione più estesa. La frammentazione di interessi e peculiarità costringe a dover estendere un puzzle che riproduce un’immagine non statica, anche in considerazione della situazione dell’ambito politico interno, caratterizzato da elezioni ripetute, leadership da testare, contrasti interni che non possono celare, tra Hamas e Fatah, le violenze precedenti.

La cessazione delle ostilità, si barcamena su di un assioma piuttosto debole, per cui non si nega il diritto israeliano alla difesa, ma nemmeno quello palestinese all’autodeterminazione. La diplomazia, sostanzialmente, è venuta meno, date le molteplici e diverse posizioni che hanno rimarcato, nel contesto europeo, impotenza ed irrevocabile irrilevanza, caratterizzate peraltro da un evidente antisemitismo, testimone del fallimento multiculturale.  


[1] Vd.  l’eliminazione di Mohsen Fakrizadeh, responsabile del progetto nucleare.

Gino Lanzara

Gino Lanzara, romano del '65, Ufficiale MM, laureato in management e comunicazione d'impresa e scienze diplomatiche e strategiche, è specializzato in analisi geopolitica e sicurezza, ed ha pubblicato un saggio sulla guerra economica. Specializzato sull'area MENA, collabora con testate online sempre in tema geopolitico.

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