
Luce a Ginevra: la proiezione di “Cabrini” illumina le Nazioni Unite
In una Ginevra sospesa tra l’attesa di un fine settimana sulle piste da sci e le preoccupazioni per il suo ruolo di capitale mondiale del dialogo e della cooperazione, un raggio di luce ha squarciato le nuvole di un freddo venerdì di metà gennaio: Madre Francesca Cabrini.
Proiezione alle Nazioni Unite
Su iniziativa della Rappresentanza Permanente d’Italia a Ginevra, in collaborazione con l’Osservatore Permanente della Santa Sede e con il sostegno dell’Ufficio delle Nazioni Unite e dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, il 17 gennaio il film Cabrini – diretto da Alejandro Monteverde e dedicato alla straordinaria figura di Madre Francesca Cabrini – è stato proiettato presso il Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra. L’attrice protagonista, Cristiana Dell’Anna, ha presenziato all’evento, intervenendo nel dibattito che ha preceduto la proiezione.
La vita di Madre Cabrini
Il film racconta la vita di Madre Cabrini, fondatrice della congregazione religiosa Missionarie del Sacro Cuore di Gesù: una donna italiana, determinata e risoluta, che tra Ottocento e Novecento dedicò la sua vita al servizio dei bisognosi e degli immigrati italiani negli Stati Uniti. Prima donna alla guida di una missione religiosa oltreoceano, fu proclamata santa dalla Chiesa Cattolica nel 1946 e nel 1950 divenne la Patrona degli Emigranti.
Più di trecento persone hanno assistito con commozione alla proiezione nella grande sala del Palais des Nations, ammirando la determinazione e la compassione di Cabrini. Qualità che le permisero di sfidare le convenzioni di una società dominata dagli uomini e di creare un vero e proprio impero della speranza: una rete di ospedali e orfanotrofi che, da New York, si è poi estesa in tutto il mondo. Un mondo che, all’inizio della sua avventura, quando dovette affrontare le resistenze in Vaticano, le sembrava già troppo piccolo per contenere i suoi sogni di solidarietà. “Un cuore che non basta agli occhi”, cantava De Gregori in riferimento a un’altra Santa, Santa Lucia.
Migrazione e non solo in “Cabrini”
Il film invita a riflettere su temi di grande attualità: inclusione, diversità, solidarietà e accoglienza dei migranti. Più che una semplice narrazione, rappresenta un’esortazione a riempire la nostra esistenza di impegno, sforzo e autenticità, andando oltre l’illusione di una perfezione artificiale che spesso ci lascia insoddisfatti.
Ho avuto l’opportunità di scambiare qualche battuta con Cristiana Dell’Anna sul ruolo dell’arte nel risvegliare le coscienze. Ecco alcune delle sue riflessioni:
“L’arte ha la capacità di trascendere la comunicazione e si qualifica come un linguaggio universale, capace di parlare sentimentalmente alle persone, ispirandole mentre racconta, spiega e interpreta la realtà. Nell’arte ci riconosciamo, validiamo la nostra esistenza, i nostri problemi, i nostri sogni. Per questo è potente: dialoga con le nostre coscienze in modo più efficace di un discorso puramente intellettuale. L’arte è parte integrante del cambiamento e dell’evoluzione, perché, attraverso la narrazione – in qualsiasi forma, dalla pittura alla musica, al cinema – realizza una qualità imprescindibile dell’essere umano: raccontare storie. Come dice Salman Rushdie, la prima cosa che un bambino chiede è amore, la seconda è: ‘Raccontami una storia.’ Abbiamo bisogno delle storie per sapere chi siamo.”
Un film per riflettere
Le ho chiesto anche un’opinione sui rischi che l’emozione suscitata dal film possa svanire una volta tornati alla quotidianità.
“Se un’opera d’arte riesce a far riflettere mentre emoziona, allora si sta già insinuando nella nostra quotidianità. Il narratore tenta di tramandare una storia, ma sta poi allo spettatore utilizzare quelle riflessioni e quei turbamenti emotivi per rivedere la propria visione del mondo. La narrazione, come ci ricorda ‘Le mille e una notte’, ha bisogno di due protagonisti: Šahrzād senza la sua sorella Dunyāzād non avrebbe potuto continuare a raccontare le sue storie al Re Šahryār. La volontà di chi ascolta è essenziale per mantenere in vita il racconto, così come il cantastorie. Non è mai un’esperienza unilaterale, ma un dialogo. La chiamiamo ‘coscienza’ dello spettatore proprio perché contiene un senso di responsabilità nel far sì che non finisca tutto con i titoli di coda, o, come si faceva un tempo, con la parola ‘Fine’.”
Ci siamo salutati con la speranza che le emozioni suscitate dal film possano ispirare gli spettatori e l’intera comunità internazionale di Ginevra nell’immaginare e realizzare un futuro fatto di speranza, impegno, dialogo e cooperazione.