Andrea Sanguineti: una vita in musica

Andrea Sanguineti: una vita in musica

Il direttore d’orchestra Andrea Sanguineti è di origine ligure ma vive ora in Germania. La sua carriera lo porta a dirigere in diversi paesi europei e per la prima volta, il Grand Théâtre di Ginevra accoglie il Maestro per la seconda parte della trilogia dei Tudor di Gaetano Donizetti, con la regia di Mariame Clément e la scenografia di Julia Hansen.   

Maestro Sanguineti, lei dirigerà dal 17 al 29 dicembre Maria Stuarda di Donizetti. Dopo un diploma di pianoforte e di composizione, si è formato alla direzione d’orchestra a Milano e a Vienna per poi specializzarsi nel repertorio lirico. Cosa l’ha spinta a esplorare il mondo dell’opera?

Ero come i classici bambini che suonano e fanno concorsi un po’ come le scimmie al pianoforte. Un piccolo “enfant prodige” si usa dire anche se la parola è un po’ inflazionata. Ecco, io da bambino ero così e improntato sull’aspetto solistico. Ho due fratelli musicisti e con loro abbiamo fatto molta musica in trio. L’opera, invece, era per me un mondo completamente parallelo di cui conoscevo molto poco. Ho iniziato a studiare composizione molto presto perché la mia insegnante sentiva che ricercavo sonorità un po’ orchestrali al pianoforte. Quando ho iniziato a studiare direzione d’orchestra, chiaramente ho iniziato ad avvicinarmi al mondo lirico per aspetti anche tecnici da direttore. Da lì, ho scoperto un grande amore per la lirica e avevo una certa facilità e versatilità nella gestione pratica di questo repertorio. Ho iniziato i miei primi anni come pianista preparatore. Essendo stato pianista, una volta imparato il repertorio, ho iniziato a lavorare con i cantanti, a lavorare in teatro e da cosa nasce cosa ho iniziato a dirigere. Succede che ti chiamano a dirigere senza prove perché qualcuno è malato e così ho iniziato. In Germania, non è un evento raro e si offrono regolarmente opportunità a delle persone che in teatro si sono fatte notare e di cui ci si può fidare. Se poi le cose funzionano bene, ti affidano un’altra direzionee piano piano ti danno delle piccole produzioni da preparare.

Ho visto che le sue prime esperienze come ripetitore le ha fatte in Francia all’Opéra National du Rhin?

Ho partecipato a un’opera studio, un’esperienza molto positiva che mi ha preparato per il repertorio. Poi, l’anno dopo, sono subito andato a Hannover perché appunto ho saputo che solo nel mondo tedesco ci sono queste opportunità.

Questa esperienza come ripetitore l’ha aiutata come direttore?

Certo! Diciamo che la facilità che avevo coi cantanti come pianista e poi come direttore è stato tutto oro che cola, perché si riescono a capire meglio i loro bisogni, per esempio come respirano. Un direttore che fa solamente il repertorio sinfonico è meno flessibile. Nell’opera facciamo compromessi tutto il tempo. Innanzitutto, perché un cantante non solo canta ma sta anche recitando, è impegnato con diverse arti. Ad esempio, mettiamo che ci sia una coreografia che va fatta con un certo tipo di tempo. Se per caso un passo non funziona magari c’è un piccolo scompenso ritmico che dobbiamo anche correggere in orchestra. Questo è il teatro. È tutto molto estemporaneo.

Elisabetta I d’inghilterra in un ritratto anonimo, attribuito a Federico Zuccari 1575

Mi sembra che il repertorio italiano abbia un ruolo importante nella sua carriera.

Chiaramente in Germania come direttore italiano ti compartimentano perché pensano che sarai bravo per il repertorio italiano. Quando sei direttore ospite, naturalmente vieni chiamato per titoli italiani sebbene io abbia un discreto repertorio tedesco che continuerò ad ampliare ma lo faccio prevalentemente nei teatri dove ho dei contratti per più anni.

Ha qualche preferenza?

Per il repertorio tedesco Strauss, Wagner, Korngold!

Come direttore d’orchestra, qual è il suo rapporto al libretto, alla lingua italiana e alla dizione quando lavora con i cantanti?

Da italiano, noto lavorando con altri italiani che intorno alla lingua perfetta c’è tutta la questione dell’inflessione dialettale. Nel canto lirico, insegniamo delle cose ai cantanti ma tra di noi non siamo d’accordo. Ma il rapporto con il testo è la prima cosa, altrimenti non ci sarebbe l’opera. Il compositore ci dà delle emozioni, delle chiavi di lettura sulla parola, dove ci sono degli eventi armonici che denotano come noi dobbiamo risolvere in maniera interpretativa il passo. Tutto viene dalla parola.

Riesce ad ottenere ciò che desidera dai cantanti?

Non è che io voglio una cosa, la cosa si fa insieme. Coi cantanti lavoriamo fino al giorno della prima. È uno scambio.  

Qual è il suo approccio quando affronta per la prima volta le prove con i cantanti?

Innanzitutto, la prima prova è un conoscersi. Io porto il mio linguaggio, la mia idea di questa musica. Loro portano la loro. Durante le prove in teatro si inizia a fare un compromesso tra tutti e magari la mia idea con la quale sono arrivato non funziona tanto bene con quello che viene proposto in scena. Non capita molto spesso ma a volte piccoli aggiustamenti sono necessari. Magari il regista o la regista porta un’idea alla quale io non avevo mai pensato e improvvisamente quel punto lì funziona meglio in piano invece che in forte.

ritratto_Maria_Malibran_canta_il_ruolo_di_Maria_Stuarda_nel_1835_alla_scala_di_Milano

C’è spazio e tempo per il dialogo tra le diverse parti? 

Sempre. Dipende anche come si lavora. Io sono abituato ad un teatro abbastanza innovativo. Avendo avuto le mie prime esperienze non in Italia ma all’estero, ho conosciuto forme di teatro molto estreme con regie per le quali si pensa che il libretto sia stato completamente violentato. Come musicista, pretendo un rispetto della partitura. Se vedo che il regista ha lo stesso tipo di rispetto allora troviamo un accordo. Su un aspetto registico innovativo sono il primo a essere pronto al dialogo e a vedere come tramutare questa idea anche musicalmente. Ci sono pochi casi, come in tutte le arti, dove ci troviamo in situazioni estreme. In tal caso o non si lavora insieme e ognuno va per la sua strada oppure si rescinde il contratto.

Nell’insieme possiamo dire che ha un buon rapporto con i registi?

Si. Mi è capitato pochissime volte di avere delle grosse discussioni. Una volta ho abbandonato la produzione.

In quale occasione?

Per un Flauto magico su cui assolutamente non ero d’accordo con alcune scriteriate idee registiche.

Riccardo Muti, in un’intervista ha dichiarato che uno dei suoi problemi maggiori era il suo rapporto con la regia.

Bisogna dire che Muti ha un peso e tutto quello che lui ha avuto come accentramento di potere oggi non è più concesso ai direttori d’orchestra. Per me, Muti esclude in questo modo la possibilità di portare un linguaggio registico più moderno. Bello avere ogni tanto, anche per chi non avesse mai visto un Rigoletto, una regia alla Zeffirelli. Però, per chi ha visto dieci regie di Zeffirelli magari trova in una regia moderna un po’ di entertainment. Anche la drammaturgia si evolve. Quello che fa Muti è bellissimo ma se vogliamo parlare di rispetto della partitura occorre ricordare che fino all’Ottocento il direttore d’orchestra non esisteva. Il primo violino dirigeva tutta la compagine orchestrale e vicino a lui c’era il maestro con un cembalo o un fortepiano che teneva le cose insieme occupandosi dei cantanti. Così funzionavano le cose, non esisteva il direttore. E un discorso ancora molto inesplorato. Per questa produzione di Maria Stuarda, io sarò al fortepiano e ricreerò un po’ di questa atmosfera.

Ha già una ricca esperienza di direttore d’orchestra in tutta Europa ed è stato nominato direttore artistico al Teatro Aalten di Essen in Germania, a partire della stagione 2023-2024. Se non sbaglio è la prima volta, però, che dirige un’opera al Grand Théâtre di Ginevra come direttore ospite. È diverso come tipo di approccio?

Direttore artistico è tradotto in maniera non esatta perché in Germania c’è la posizione di Generalmusikdirektor, un direttore artistico musicale che ha anche compiti pratici e pianifica le stagioni e i concerti insieme al sovraintendente. Come Generalmusikdirektor devo fare un certo numero di opere e di concerti per i prossimi quatro anni a partire dall’ agosto 2023. E poi, come direttore ospite ho diversi contratti in diverse città dove si fà del repertorio.

Come si stanno svolgendo le prove al Grand Théâtre?

Abbiamo iniziato l’8 o il 9 di novembre. E da quasi un mese che ci conosciamo e che lavoriamo a questo progetto. Sta andando tutto molto bene. È un ambiente molto tranquillo. La regista è veramente una valida professionista. Il pubblico la conosce già perché ha fatto Anna Bolena l’anno scorso. È una trilogia, dunque l’opera andrà avanti con gli stessi stilemi. C’è molto da vedere, ci sono aspetti naturalistici.

Musicalmente come definisce il rapporto di rivalità tra Elisabetta e Maria Stuarda? Ci sono elementi musicali nella scrittura musicale e nella struttura che permettono di definire il temperamento molto diverso delle due eroine?

La Stuarda è sempre un po’ vista dalla scrittura donizettiana in maniera celestiale come se fosse una santa mentre la regina Elisabetta viene un descritta musicalmente un po’ più rigida. In realtà, l’opera far trasparire il grande carattere della Stuarda. Nella scrittura Donizetti da più carattere a Elisabetta, lasciando alla Stuarda un aspetto molto più belcantista. Tuttavia, non ci si deve lasciare andare verso un’interpretazione di cattivo gusto. Ovviamente, la Stuarda è la persona con più carattere. E lei che dirà ad Elisabetta “figlia impura di Bolena” sapendo benissimo che in questo modo perderà la testa.

Anche vocalmente c’è questa differenza? Magari Maria Stuarda ha un registro più acuto?

A Ginevra il ruolo di Elisabetta è del soprano Elsa Dreisig mentre invece Maria Stuarda è interpretato dal mezzosoprano Stéphanie d’Oustrac. È una scelta dovuta alla trilogia realizzata a Ginevra ma anche al Metropolitan hanno già fatto questo cambiamento, dando al mezzosoprano il ruolo di Stuarda. Le due parti sono tutte e due molto acute. All’epoca non esisteva la tipologia del mezzosoprano. Oggi è lecito fare questo tipo di scelte in base alle scelte drammaturgiche.

Quali sono gli obbiettivi da raggiungere con l’Orchestre de la Suisse Romande per quest’opera?

Mi aspetto una grande orchestra. Ho visto cosa fanno al livello concertistico. Il livello è molto alto. Per questo genere di musica è sempre un po’ difficile perché è una musica che non premia tantissimo l’orchestra dato che non ci sono grandi momenti sinfonici. È una musica prettamente belcantista quindi di accompagnamento con tanti piccoli elementi che commentano la situazione. Non abbiamo pagine di interludi sinfonici dove l’orchestra può fare uscire una personalità. Questa è una musica che è sempre in relazione col palco e quindi bisognerà valutare questo discorso e stare sempre attenti ai livelli acustici e suonare tutti i piccoli accompagnamenti in maniera sempre molto attiva. È una musica molto divertente da suonare ma può stancare anche l’orchestrale perché bisogna sempre stare attenti a ogni nota. Se si suona Strauss la musica funziona già di per sé perché è una musica di grande respiro. Questa è una musica più schematica, fatta di sezioni. Abbiamo anche tantissimi cambi di tempo e sono tutte cose a cui bisogna fare attenzione. La difficoltà è essere sempre attivi e al servizio del palcoscenico, senza avere grandi momenti solo per noi.

Ci può dare tre parole che riassumono lo spettacolo per convincere il pubblico, se fosse ancora necessario, di venire a vedere questa nuova produzione di Maria Stuarda?

Secondo me ci sono: dei richiami dell’epoca stilizzati; grande musica! Non solo musica seria, ci sono grandi allusioni anche a quello che potrebbe sembrare uno stile rossiniano; una grande freschezza musicale! E a livello vocale, una “richesse” incredibile! Ci sono anche due grandissimi finali che sono splendidi e uno dei più bei cori che Donizetti abbia mai scritto.

Maria Irene Fantini

Appassionata di arte, teatro e musica, studia pianoforte con Luis Ascot e canto lirico con Isabel Balmori-Martin al conservatorio di Ginevra. Successivamente ottiene un Master of Arts in vocal performance alla Haute Ecole de Musique de Lausanne, nella classe di Frédéric Gindraux. Come mezzosoprano e contralto ha eseguito lo Stabat Mater di Pergolesi al festival « Les transeuropéennes de Rouen » e presso le « Nuits baroques » de Touquet, il Gloria di Vivaldi e il Magnificat di J.S. Bach al « Festival Bach » di Lutry. Insieme al clavicembalista Paolo Corsi e il suo ensemble “Le Harmoniche Sfere”, ha ideato e presentato in concerto il programma La Serenissima con musiche vocali e strumentali del barocco veneziano, concerto registrato dalla dalla RTS-Espace 2. Desiderosa di approfondire le sue conoscenze umanistiche, prosegue gli studi e consegue il Master di Musicologia dell’Università di Ginevra con un lavoro di ricerca su poesia e vocalità in Ottorino Respighi.

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