I numeri contano. Anche per la sostenibilità

I numeri contano. Anche per la sostenibilità

Quando studiavo ingegneria al Politecnico circolava un pamphlet satirico dal titolo “lavori socialmente inutili – ingegneri”, in cui si sosteneva (con qualche ragione, ahimè) che “nella lista delle persone con cui si gradirebbe passare una serata, l’ingegnere viene poco prima del mostro di Milwakee”.

Eppure, anche l’ingegnere può portare qualche contributo alla collettività. E se dovessi scegliere il principale non avrei dubbi: l’ingegnere, almeno quello vecchio stampo, sa fare i conti della serva. In altre parole, riesce a farsi un’idea ragionevolmente sensata di un sistema anche molto complesso, catturandone le dimensioni quantitative fondamentali, prima di cimentarsi in astrusi modelli matematici. Questo gli permette di scartare subito le ipotesi irrealistiche, concentrandosi su quelle (poche) che vale la pena perseguire.

Riconoscere il problema

Purtroppo, quest’arte è oggi tanto più rara quanto più sarebbe indispensabile per indirizzare le limitate risorse economiche, industriali e umane che abbiamo a disposizione alla soluzione del problema fondamentale del nostro secolo: la sostenibilità.

L’opinione pubblica viene inondata ogni giorno da informazioni contrastanti: da una parte notizie catastrofiche sul rapido degrado della biosfera e del clima, dall’altra un florilegio di soluzioni invariabilmente smart che promettono di risolvere tutto con poco sforzo, grazie ai prodigi della tecnologia moderna. Come orientarsi?

Davvero la nostra società può diventare sostenibile con piccoli aggiustamenti del nostro modo di vita?

Per cominciare a rispondere a queste importanti domande, è imprescindibile farsi un’idea delle dimensioni del problema. A partire da uno degli aspetti fondamentali legati al concetto di sostenibilità: l’energia. Non è il solo aspetto, sia chiaro, ma è un buon punto di partenza. Ogni sistema, inclusa la società umana sul pianeta Terra, può essere analizzato in termini di trasformazioni energetiche. L’impresa umana è basata sulla manipolazione di flussi energetici presenti in natura al fine di permettere il funzionamento della società. Ad esempio, l’agricoltura, per esempio, non è altro che la trasformazione di energia solare e energia di origine fossile in energia chimica immagazzinata, tramite fotosintesi, nelle varietà coltivate; l’industria manifatturiera trasforma principalmente energia di origine fossile (petrolio, gas naturale, carbone) in prodotti di largo consumo. La nuova economia digitale trasforma energia elettrica, a sua volta prodotta ancora in larga parte da combustibili fossili, in informazione elaborata da miliardi di dispositivi elettronici, prodotti e distribuiti a loro volta dall’industria manifatturiera.

Una prima questione è: quali sono le dimensioni dei flussi energetici che sostengono la società umana attuale? Come si confrontano con i flussi energetici rinnovabili sul nostro pianeta? Quali sono i limiti, se ci sono, entro cui possiamo muoverci per trovare soluzioni sostenibili? Per prima cosa, osserviamo che ciò che ci interessa in questo contesto non è tanto la quantità di energia disponibile, ma la potenza, cioè quanta energia possiamo trasformare nell’unità di tempo. La potenza si misura in watt, e un primo dato fondamentale ci dice che l’umanità, oggi, consuma circa 18 terawatt (18 mila miliardi di watt) per il suo funzionamento. Per comprendere questo numero bisogna metterlo in contesto. Cerchiamo innanzitutto di caratterizzarlo meglio.

Una prima osservazione è che solo una piccola parte serve alla nostra sussistenza biologica. Un essere umano utilizza circa 100 watt per sostenere il proprio metabolismo, se per semplicità supponiamo una dieta di 2000 kcal giornaliere. Moltiplicando per una popolazione di 7 miliardi otteniamo 700 gigawatt (700 miliardi di watt), cioè oltre 25 volte meno della potenza totale effettivamente utilizzata. In realtà, la nostra sussistenza biologica ha un fabbisogno minore, perché la dieta media a livello mondiale è inferiore a 2000 kcal giornaliere per individuo, ma qui ci interessano gli ordini di grandezza. Questo ci dà un’idea del fattore moltiplicativo introdotto dalla rivoluzione industriale rispetto a un’economia di sussistenza tipica delle società umane per gran parte della loro storia.

La storia della potenza

Ma come viene utilizzata la potenza in eccesso? Per farsi un’idea, e comprendere i “rapporti di forza” tra i diversi flussi energetici, può essere utile un diagramma come quello rappresentato in Figura 1, che fotografa l’utilizzo tipico in una nazione avanzata e molto energivora come gli Stati Uniti.


Figura 1. Rappresentazione dei flussi energetici negli Stati Uniti nel 2019. Fonte: Lawrence Livermore National Laboratory
(https://flowcharts.llnl.gov/commodities/energy)

Energie rinnovabili

Una semplice ispezione ci fornisce le coordinate principali. Notiamo intanto nella parte destra della figura che l’efficienza complessiva della “macchina americana” è di poco superiore al 30%, in quanto 67 quads su un totale di 100 quads annuali (in unità standard pari a circa 3,2 terawatt, quasi il 18% del consumo mondiale) costituiscono rejected energy, ovvero energia persa per strada nelle varie trasformazioni. I principali settori che utilizzano questa energia sono i trasporti e l’industria, seguiti dal residenziale e dai commerci. Sulla parte sinistra abbiamo le fonti, e vediamo subito che circa l’80% è ancora fornito da combustibili fossili, soprattutto petrolio e gas naturale, e solo il 7% è dato da fonti rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico e geotermico).

Il diagramma di flusso rappresentato in figura può variare da paese a paese, ma queste proporzioni sono abbastanza tipiche di un paese industriale. Adesso che ci siamo fatti un’idea dei nostri fabbisogni energetici, resta la domanda: 18 terawatt sono tanti o sono pochi? sono “sostenibili”? potrebbero essere forniti solo da fonti rinnovabili? Per cominciare a rispondere, possiamo paragonare il nostro consumo energetico ai principali flussi di energia a livello planetario. Con l’eccezione del potenziale gravitazionale all’origine delle maree e dell’energia geotermica, possiamo affermare che tutti i flussi rinnovabili di energia siano trasformazioni dell’energia solare (Figura 2). Anche i combustibili fossili sono in un certo senso energia solare “solidificata”, in quanto originati dall’attività fotosintetica della vegetazione che, nel corso di milioni di anni, ha dato origine alle riserve attuali.


Figura 2. Trasformazioni della radiazione solare incidente sul pianeta Terra. Fonte: NASA
(https://earthobservatory.nasa.gov/features/EnergyBalance)

L’equilibrio terrestre

La Terra è un sistema in equilibrio, almeno su periodi temporali non troppo lunghi, in cui il flusso energetico di gran lunga più importante è costituito dalla radiazione solare intercettata dal nostro pianeta, pari a oltre 170 mila terawatt (si noti che un flusso di pari potenza ma a maggiore lunghezza d’onda viene irradiato dalla Terra nello spazio, se così non fosse si avrebbe un accumulo di energia e un conseguente aumento della temperatura terrestre). Da questo punto di vista, i nostri 18 terawatt appaiono del tutto insignificanti. Ma bisogna considerare che una parte della radiazione solare viene riflessa nello spazio prima di arrivare alla superficie del pianeta, e inoltre la maggior parte viene spesa per il funzionamento della “macchina planetaria”, ovvero per sostenere fenomeni indispensabili all’esistenza della biosfera, come la circolazione atmosferica, le correnti oceaniche e il ciclo idrico.

È quindi evidente che, se non vogliamo sconvolgere l’equilibrio planetario, possiamo usare solo una piccola parte di questa energia. Istruttivo è il confronto proprio con questi flussi secondari di energia, per esempio la circolazione atmosferica. Considerazioni termodinamiche di base consentono di stimare che non più del 5% dell’energia solare si trasformi in moti ventosi orizzontali. Di questi, solo una piccola parte sono presenti ad altezze inferiori a 200 metri, quindi sfruttabili per esempio da generatori eolici. Sono state proposte stime intorno ai 100 terawatt totali per la potenza dei venti a bassa quota, e se immaginiamo di utilizzare tutte le aree terrestri praticabili per produrre energia eolica, escludendo calotte polari o simili, potremmo intercettarne forse 20 terawatt. Un numero pericolosamente vicino ai nostri 18 terawatt, anche perché non si considera la fattibilità tecnica ed economica, e nemmeno le perdite di conversione, che possono diminuire di molto il budget teoricamente disponibile. E considerate quale mondo abbiamo costruito, interamente ricoperto di turbine eoliche!

Analoghe stime si possono fare per altri flussi di energia rinnovabile, e il risultato è simile: il consumo energetico attuale dell’umanità è ormai confrontabile con i principali flussi naturali di energia che possiamo sperare di convertire nella pratica (Figura 3). Solo la radiazione solare diretta ha un potenziale enormemente superiore. Si noti che le stime relative a sistemi così complessi presentano un significativo grado di incertezza, anche pari a un ordine di grandezza (cioè un fattore 10), e che il potenziale sfruttabile dipende da numerosi fattori fra cui l’evoluzione della tecnologia, ma questo non cambia il messaggio di fondo.

Figura 3. Confronto fra la potenza utilizzata dall’umanità a livello globale con alcuni dei principali flussi di energia rinnovabile (stime personali basate su letteratura disponibile).

Le dimensioni del problema

Una prima lezione che ci portiamo a casa da queste semplici considerazioni è che la scala dell’impresa umana ha raggiunto dimensioni colossali, e che qualsiasi soluzione deve essere valutata anche, e soprattutto, per la sua capacità di scalare. Questo già consentirebbe di scartare tante idee velleitarie, che possono funzionare solo in casi molto limitati ma che non hanno nessuna possibilità di fare la differenza. Esempi classici, di cui fortunatamente si sente parlare sempre meno, sono lo sfruttamento del moto ondoso per produrre elettricità (la potenza media per metro di costa sull’Oceano Atlantico è stata misurata in 40 kW, ciò significa che anche tappezzando tutte le coste del mondo di generatori non si otterrebbe che una percentuale insignificante del nostro fabbisogno) e i biocarburanti (la resa energetica netta, togliendo l’energia spesa per la coltivazione, è talmente bassa che dovremmo usare tutti i terreni agricoli esistenti per la produzione di biocarburanti per avere un impatto apprezzabile).

Una volta che ci siamo fatti un’idea del problema e delle sue dimensioni, e prima di esplorare lo spazio delle possibili soluzioni, è utile comprenderne l’evoluzione nel tempo, e cioè rispondere alle domande: come siamo arrivati fin qui? come potrebbe evolvere il consumo energetico in futuro? Quali sono, se ci sono, i limiti fisici del campo da gioco? Proveremo a dare qualche elemento per rispondere a queste importanti domande nelle prossime edizioni.

Diego Ragazzi

Diego Ragazzi si laurea in ingegneria elettronica con indirizzo matematico-fisico al Politecnico di Milano e dal 1996 lavora nel campo delle nuove tecnologie digitali, in particolare applicate al mondo dell’energia e della sostenibilità. Ama viaggiare e ha abitato in Francia e negli Stati Uniti. Dal 2014 è socio co-fondatore di un’azienda vinicola artigianale.

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