I Moso e la società delle donne: intervista a Francesca Rosati Freeman

I Moso e la società delle donne: intervista a Francesca Rosati Freeman

Francesca Rosati Freeman, nata a Trapani, laureata in lingue moderne a Palermo, scrittrice e documentarista da sempre attiva nella lotta per i diritti delle donne. Organizza in Svizzera dei corsi di formazione continua per sostenere le donne straniere. Ma è notevole soprattutto il suo interesse e contributo per le donne della società dei Moso. I suoi numerosi viaggi le hanno fatto scoprire un modo di vivere diverso, in cui le donne hanno il ruolo di guida della famiglia e della società. Una società egualitaria senza violenza né gelosia. Tutto questo raccontato e vissuto attraverso un libro, due documentari e molte foto che ritraggono un popolo antico che vive in pace e in armonia con la natura e con sé stessa.

Le donne Moso e le donne occidentali

Francesca, qual è stato il motivo che ti ha portato a trasferirti all’estero?

Studiavo lingue moderne all’Università di Palermo e ho deciso di venire a praticare la lingua francese a Ginevra dove avevo delle conoscenze. Qui ho frequentato dei corsi intensivi di lingua e fatto qualche lavoretto per mantenermi agli studi. Dopo la laurea mi dono stabilita a Ginevra dove ho insegnato per circa 20 anni.

Com’è scaturito questo tuo profondo interesse verso la cultura dei Moso?

La mia passione per la questione femminile nasce molto presto. Da quando mi sono accorta delle discriminazioni che avvenivano anche in seno alla stessa famiglia, fra figli maschi e figlie femmine. Mi sono rivoltata molto presto contro le ingiustizie e le disuguaglianze che avvenivano. Questo ha sempre accompagnato il mio percorso sia come donna che come insegnante. Nel lavoro che ho svolto e nelle opere che ho realizzato, come il mio libro o i miei documentari, non ho mai perso il mio obiettivo principale. Ossia, accrescere l’autostima delle donne e valorizzare il femminile nei confronti della dominanza maschile in tutti gli aspetti della società. Una società egualitaria eviterebbe la maggior parte dei conflitti legati al genere. Informare le donne italiane nei corsi che ho organizzato a Ginevra sui loro diritti e impartire loro anche corsi di lingua francese permetteva di farle sentire più valorizzate in seno alla famiglia e più integrate nella società.

La scoperta delle donne Moso

Poi nel 2004 scopro l’esistenza di una società matriarcale dopo aver letto un libro che in forma romanzata descriveva il funzionamento di una società fuori dal comune, una società senza violenza dove le donne sono valorizzate con le madri a guida della famiglia. Si tratta della società dei Moso, una minoranza etnica che vive a 2700m. di altitudine sulle pendici dell’Himalaya nel sud-ovest della Cina. Abituata com’ero ad avere un’immagine così negativa sulla condizione delle donne, non mi sembrava vero che esistesse in un posto così remoto una società simile e nel 2005 sono partita alla scoperta di questa popolazione perché volevo capire quali erano i valori fondanti su cui si reggeva una società paritaria, perché malgrado le donne abbiano il ruolo di guida della famiglia, non hanno mai discriminato, oppresso e represso l’altro sesso.

Quindi matriarcale non è speculare a patriarcale. Si tratta di una società di pace senza violenza, senza femminicidi, senza abusi sui minori e che permette a circa 40.000 persone di vivere in pace e in armonia. Vorrei precisare il significato della parola matriarcale che negli anni ha assunto una connotazione negativa perché le è stato attribuito il significato di dominio delle donne. Secondo I Moderni studi Matriarcali condotti dalla filosofa tedesca Heide Goettner-Abendroth, la parola deriva da Mater+Arké, cioè le madri sono all’origine della vita. Infatti, la parola greca Arké ha due significati: il primo è quello di origine, principio e il secondo è quello di dominio. Quindi la parola matriarcato non è speculare a quella di patriarcato.

Qual è stata l’esperienza più bella che hai vissuto durante il tuo viaggio  a Nuo Guo? Cosa ti sei portata nel cuore attraverso la scoperta di questo paese?

In ogni mio viaggio scoprivo sempre nuove cose e mai avrei pensato di allargare così tanto i miei orizzonti. Durante le mie presentazioni dico sempre che la mia vita si divide in due, prima dei Moso e dopo i Moso.

Una società ospitale

Le cose che più mi hanno colpito sono l’empatia, l’accoglienza ospitale, l’armonia che regna non solo nelle relazioni fra le persone, ma anche nel paesaggio che è di una bellezza indescrivibile. Ma quello che devo di più alla conoscenza di questa cultura matriarcale è l’aver preso consapevolezza della sacralità della Natura e come questa sia strettamente legata al femminile. Tutti i Moso cercano rifugio e protezione in essa come una Grande Madre che ci nutre e ci protegge. Per me è stato come un risveglio improvviso, come quando ti tolgono una benda dagli occhi, sicuramente era già tutto dentro di me, faceva parte della mia vera essenza che però non avevo ancora fatto venire in superficie.

La vita in mezzo alle montagne

In che modo sei riuscita a stabilire un contatto con gli abitanti di questo paese?

Prima di partire sono stata un anno a documentarmi per cercare come arrivarci perché i Moso abitano in luogo sperduto in mezzo alle montagne. Un luogo che solo fino a pochi anni prima di averlo scoperto, ci si arrivava per strade impervie e su una carretta tirata dai muli. In pochissimo tempo tutto è cambiato e dopo una ventina d’anni adesso c’è perfino un aeroporto voluto dal governo cinese per incrementare l’afflusso del turismo. Io ci sono arrivata in un pulmino con una guida. Una volta sul posto non è stato difficile entrare in contatto con le famiglie locali dove ho sempre vissuto durante i miei diversi viaggi sul posto e svolgendo assieme alle donne le loro stesse attività quotidiane.

Nel tuo libro “Benvenuti nel paese delle donne” affronti tematiche sociali e politiche molto diverse da quelle europee, ma tu come hai vissuto questa differenza di realtà?

Ho capito subito che bisognava liberarmi di quei parametri occidentali, di quell’eurocentrismo che ci ha abituati a vedere e giudicare tutto secondo i valori che veicola la nostra società, mentre in realtà mi trovavo di fronte a una società matriarcale dove circolano valori altri, come la cura per sé, per gli altri e per la natura, la solidarietà non solo fra i membri di una stessa famiglia, ma fra le famiglie fra di loro. Il rispetto per l’altro, l’educazione non di genere e l’assenza di violenza e gelosia sono cose che ti saltano subito agli occhi. Poi scopro che adottano la pratica del consenso, una pratica che coinvolge tutti gli adulti a partire dall’età di 13 anni in discussioni che arrivano a termine solo quando si arriva ad un accordo. Scopro un concetto della maternità e della paternità sociale dove non esiste il concetto di proprietà privata né dei beni materiali né dei bambini.

La priva volta dalle donne Moso

Quando per la prima volta sono entrata in una casa Moso e ho chiesto a una giovane donna chi abitasse in quella casa, mi ha risposto che ci abitava con le sue tre madri, la madre genitrice più le sorelle della madre che per lei erano come madri e per le sue zie lei era come una figlia. La cosa più singolare è stato l’avere scoperto che i Moso non si sposano pur non rinunciando all’amore, al sesso e alla procreazione. Alla base della famiglia matrilineare in effetti non ci sta la coppia ma il gruppo familiare guidato dalla madre e dove si applicano i valori del materno senza usare oppressione o discriminazione nei confronti dell’altro sesso per cui gli uomini sono rispettati al pari delle donne con una considerazione maggiore per la dabu, cioè la guida della famiglia, per la sua competenza e la sua imparzialità nel gestire una grande famiglia che, sì,  può contare fino a 4 generazioni, dove ognuno ha il proprio spazio privato, ma tutti contribuiscono alla prosperità e alla felicità della famiglia.

Il divario con l’Europa

Nel tuo libro si parla dell’importanza della donna che riesce a portare sulle spalle un ‘intera società nonché della violenza sulle donne inesistente. Come vedi questo divario tra Europa e questo paese?

Il divario non è fra l’Europa e questo paese, ma fra due sistemi diversi, quello occidentale patriarcale che si regge su un capitalismo che sfrutta e discrimina le donne e i meno abbienti, e l’altro matriarcale che valorizza le donne senza discriminare gli uomini, sostanzialmente egualitario, dove vengono fatti circolare i valori della vita e non della distruzione, con un’economia tradizionale che si fonda sulla solidarietà collettiva orientata verso il bisogno e non verso il profitto. Oggi col turismo le cose stanno cambiando, ma i valori tradizionali di questa cultura potrebbero ispirarci per vivere meglio. Se educassimo i nostri figli fin da piccoli, sia in famiglia che a scuola, al rispetto dell’altro, anche noi potremmo prevenire conflitti e violenze di ogni genere. La gelosia, per esempio, viene stigmatizzata a livello sociale. Si sa che è un sentimento distruttivo, ma se educhiamo i nostri figli a non considerare proprietà privata la persona che si ama, nessuno oserebbe fare violenza sull’altro. “Ti amo, ma non sono tua” sembra essere alla base di qualsiasi relazione amorosa.

I diritti delle donne. Non solo Moso

Continui ad essere attiva sulla difesa dei diritti delle donne?

Da ormai 15 anni porto in giro e diffondo la conoscenza di questa società e dei suoi valori. Lo faccio attraverso le opere che ho realizzato, come il mio libro e i miei due documentari. Tutte e tutti ne possono trarre vantaggio: le donne potrebbero accrescere la loro autostima sapendo che esistono luoghi come questo. Inoltre le donne hanno il controllo del proprio corpo e della propria sessualità, sono loro a decidere se e quando avere figli senza pressione alcuna né da parte del compagno né della famiglia.

Per me questo è un modo di essere attiva nel fare conoscere un modello positivo della condizione delle donne per ispirarle a cambiare sistema.

E stato un vero piacere incontrare Francesca Rosati, che ringraziamo per la sua preziosa testimonianza e per averci fatto scoprire un mondo diverso da quello in cui viviamo e a cui dovremmo ispirarci per poter vivere in un “mondo di pace”.

Samantha Gatto

Samantha Gatto, nata a Ginevra il 23 aprile 1985, dopo aver trascorso i primi dieci anni in Svizzera, ha voluto proseguire i suoi studi artistici tra Milano e Roma, dove ha ottenuto il suo diploma in Storia dell’Arte con specializzazione in Beni Culturali. Nel 2009, torna a Ginevra per lavoro e sceglie di intraprendere una carriera in ambito amministrativo. Parallelamente, mantiene un forte legame con Roma, continuando a coltivare la sua passione organizzando mostre sull’arte contemporanea e allo stesso tempo si cimenta in ambito giornalistico con la pubblicazione di diversi articoli su testate locali.

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