Il personale sanitario e la vaccinazione

Il personale sanitario e la vaccinazione

Nella stampa italiana in queste settimane si trovano spesso notizie relative ai ricorsi al Tar e il vaccino. Ricorsi che circa un migliaio di medici e operatori sanitari hanno presentato, chiedendo l’annullamento delle sanzioni previste in caso di mancato adempimento dell’obbligo vaccinale.

Secondo questi articoli, il ricorso mette in dubbio in primo luogo l’efficacia e la sicurezza del vaccino, nonostante questa sia stata affermata e confermata, a livello nazionale e internazionale, da tutte le autorità scientifiche e mediche. Con gli argomenti tipici dei no-vax, nell’esposto si afferma che i vaccini sono sperimentali e comportano danni e rischi di grave entità. E che altri allo stato ignoti potranno arrivare in futuro.

L’obbligo vaccinale sarebbe inoltre ‘liberticida ed oppressivo’ e sacrificherebbe il diritto alla salute e la libertà di autodeterminazione. Per questo si cita una sentenza della Corte Costituzionale  (la 118 del 18 aprile 1996) secondo la quale: “Nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri ».

Il vaccino, punto centrale della discussione

Gli argomenti evocati dagli avvocati che hanno steso i rigori possono essere aggregati intorno a due punti centrali :

  1. Una sfiducia totale negli strumenti scientifici ed amministrativi per verificare l’efficacia e la sicurezza del farmaco utilizzati dalla comunità scientifica. E dalla professione sanitaria alla quale gli stessi operatori appartengono.
  2. Si pone la propria salute prima e al di sopra della salute di « tutti gli altri ».

Secondo quanto scritto nel ricorso presentato in Toscana, come riportato dalla stampa, i ricorrenti sostengono che il vaccino contro il Covid-19 è sperimentale e  « comporta una serie di danni e rischi di natura permanente e di grave entità, senza contare che potrebbe arrecarne di ulteriori ancora, tuttavia, allo stato ignoti … in quanto non sono note le controindicazioni a lungo termine ». 

Con questo tipo di affermazioni, i medici e gli altri operatori sanitari che rifiutano di vaccinarsi mettono in discussione la serietà e la professionalità degli organi scientifici competenti. Organi della loro stessa professione, che affermano invece con forza la validità del vaccino come difesa della propria salute e di quella della collettività. Ma in questo modo si mette in crisi la credibilità delle stesse strutture sanitarie.

Il secondo punto pone interrogativi ancora più profondi, e persino inquietanti, sulla natura stessa della professione medica e sanitaria. Secondo quanto si legge nell’esposto sopra citato, « Un ordinamento che voglia definirsi libero e democratico non può imporre ai propri consociati trattamenti sanitari dei quali non vi sia certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza, né esporli ad alcun tipo di rischio per la salute che non sia temporaneo e/o di lieve entità ».

Il diritto alla salute e il vaccino

In questo modo gli operatori sanitari obbligati a vaccinarsi sarebbero « costretti a sacrificare il proprio diritto alla salute e la propria libertà di autodeterminazione. Piegandosi ad un obbligo liberticida ed oppressivo delle opinioni differenti da quelle maggioritarie ».

Si può intanto affermare che la « certezza sull’efficacia e sicurezza » di un vaccino, come di qualsiasi farmaco, non può mai essere stabilita in modo assoluto, soprattutto quanto si parla di effetti collaterali a lungo termine. Si deve invece ricordare che, dopo ormai molti mesi di utilizzazione dei vaccini antiCovid in tutto il mondo, i dati epidemiologici mostrano che l’efficacia è confermata a più del 90%. E la sicurezza è molto elevata, dato che sono pochissimi gli eventi negativi che si sono manifestati dopo miliardi di vaccinazioni.

La missione professionale

C’è poi un secondo punto da rilevare. Un punto che riguarda la missione professionale ed etica che la medicina si è data sin dalla sua origine: la salvaguardia della salute dei singoli e della collettività. Nell’Ottocento, in tutti i trattati medici e nella pubblicistica generale,  la professione medica e sanitaria era definitiva come un terzo sacerdozio, insieme alla chiesa e all’ordinamento giudiziario. Questo perché, a queste tre figure professionali le persone affidavano i loro beni più preziosi: la salute dell’anima (il prete), la salvaguardia della propria libertà (il giudice) e, infine, la salute del corpo (il medico). E a queste figure si chiedeva di adempiere alla loro funzione con il massimo rigore, anche a rischio della propria vita, come è accaduto spesso e continua ad accadere ancora oggi a religiosi, giudici e medici.

Così, i giudici continuano nel loro prezioso lavoro nonostante le gravi minacci e rischi ai quali sono esposti; i preti accorrono al letto dei morenti per confortarli religiosamente, anche in presenza di qualche rischio di infezione e di contagio. E nel passato, i medici non esitavano ad assistere i malati di peste o di colera. Come a Napoli nel terribile 1884, quando ancora non si conosceva la causa della malattia e non esisteva alcun rimedio. O come è accaduto nel 2003, al medico italiano Carlo Urbani, accorso in un’ospedale di Hanoi per assistere un malato colpito da una strana polmonite, dando l’allarme mondiale per l’arrivo di una nuova terribile malattia, la SARS,  e purtroppo restandone contagiato e morire.

Il giuramento dei medici

Affermando la volontà di non ‘esporsi ad alcun tipo di rischio per la salute che non sia temporaneo e/o di lieve entità’, questi operatori sanitari si comportano come un carabiniere o poliziotto che, di fronte a un pericolo per la sicurezza pubblica, rifiutasse di intervenire contro dei banditi perché, ovviamente, metterebbe a rischio la propria incolumità. O come un pompiere che di fronte a una casa in fiamme da cui escono grida disperate e richieste di aiuto, rifiutasse di intervenire citando  la sentenza della Corte Costituzionale : “Nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri “.

Ai medici e operatori sanitarie che mettono in discussione le basi scientifiche ed etiche della loro professione e pongono la propria salute davanti a quella di « tutti gli altri », si può solo chiedere di agire secondo coscienza. E dimettersi dalla loro professione. Prima di essere esclusi con un atto ‘autoritario e repressivo’, in modo da poter esercitare liberamente, come privati cittadini, il loro diritto di critica e la libertà di non vaccinarsi.

Bernardino Fantini

Bernardino Fantini è professore emerito di Storia della Medicina e della Sanità presso l’Università di Ginevra. Nato a Nepi (Viterbo), dopo una laurea in biochimica all’Università di Roma nel 1974, ha ottenuto nel 1992 un dottorato in storia e filosofia delle scienze della vita all’EPHE-Sorbonne di Parigi. Dal 1990 al 2013, è stato direttore dell’Istituto di Storia della medicina e della salute dell’Università di Ginevra. E’ presidente dell’Istituto Italiano di Antropologia, dell’Association des Concerts d’été à St Germain e della Società Dante Alighieri di Ginevra. Le sue ricerche si sono indirizzate principalmente alla storia della genetica e della biologia molecolare, alla storia della microbiologia e delle malattie infettive, alla filosofia delle scienze della vita e allo studio, teorico e sperimentale delle relazioni fra musica, scienza e medicina. È sposato con Rita Gai e ha tre figli e cinque nipoti.

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